Altermondialismo

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di Christophe Aguiton (sociologo, militante sindacale e politico francese) – trad. di Mariangela Rosolen

A vent’anni dalle manifestazioni di Genova e dall’emergere del movimento altermondialista, è utile ritornare sulle ragioni di una tale emersione, dei suoi apporti, ma anche delle trasformazioni che hanno in seguito caratterizzato le mobilitazioni di massa.

Nell’ultimo quarto del 20° secolo il mondo ha vissuto trasformazioni profonde. Con l’esaurirsi  del modello di sviluppo dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, padronato e governi dei paesi dominanti si sono  convertiti al neoliberalismo, si sono impegnati  nella ristrutturazione dell’apparato produttivo e hanno iniziato una nuova fase di mondializzazione economica e finanziaria.

Il crollo dell’Unione sovietica e dei regimi  satelliti e l’integrazione della Cina nei circuiti di produzione delle grandi multinazionali hanno completato l’estensione della mondializzazione neoliberale all’intero pianeta.  Mondializzazione che ha tratto vantaggio dallo sviluppo delle tecnologie e i cui sostenitori non mancano di vantarne i meriti, al punto di sostenere che la “New Economy” aveva chiuso con le crisi e che si apriva un periodo di prosperità per tutti!

In tale contesto, e di fronte all’evidenza che la mondializzazione neoliberale era un fattore di crescita delle disuguaglianze, di maggiore degrado ambientale e di pericoli per la democrazia,  sono comparsi  nuovi temi e nuove forme di mobilitazione. Il 1° gennaio 1994 gli zapatisti del Chiapas sono insorti contro l’accordo di libero scambio dell’America del Nord. Nello sesso tempo sono state lanciate mobilitazioni internazionali per l’annullamento del debito dei paesi del Sud del mondo, o per contestare i piani di rientro che il FMI e la Banca Mondiale imponevamo ai paesi poveri.

La crisi delle valute asiatiche del 1997 è stata la prima di una serie di grandi scosse all’economia mondiale, ed ha rappresentato l’elemento determinante della nascita di ATTAC, in Francia, l’anno dopo. Ma è stato il successo delle manifestazioni di Seattle, che a fine 1999 hanno impedito la conferenza dell’OMC,  il punto di partenza di una mobilitazione mondiale dei movimenti sociali, dei sindacati, delle grandi ONG e altri movimenti di base contro la mondializzazione neoliberale. Una mobilitazione mondiale che, dopo Seattle, ha visto moltiplicarsi le manifestazioni in tutti i continenti, in Europa a Praga, Barcellona e soprattutto a Genova nel luglio 2001.

Una mobilitazione mondiale che ha trovato la sua struttura di coordinamento e di comunicazione nei  Forum sociali mondiali , il primo dei quali si è tenuto a Porto Alegre, Brasile, nel gennaio del 2001 e successivamente nei Forum sociali continentali, in Europa a Firenze nel 2002. Era nato il movimento altermondialista, un termine nuovo che rientra nel motto del FSM “Un altro mondo è possibile” ed evidenzia che l’opposizione alla mondializzazione neoliberale non significa affatto un ripiegamento su dimensioni nazionali o statuali.

Il movimento altermondialista è stato il vettore di una trasformazione  profonda della cultura politica dei movimenti. Il 20° secolo aveva visto imporsi una cultura basata sul culto dell’unità e delle gerarchie. Gerarchia tra attori sociali:  solo la classe operaia era considerata capace di rompere con il capitalismo. Gerarchia tra organizzazioni: i  partiti politici erano considerati i soli a poter dare un orientamento globale. E gerarchia all’interno delle stesse organizzazioni con strutture piramidali ad ogni livello.  I Forum sociali e il movimento altermondialista mettono invece l’accento  sulla diversità come ricchezza, diversità dei soggetti, dei continenti, dei temi e delle rivendicazioni.  La premessa è anche il rifiuto di ogni gerarchia, nessun tema o soggetto può essere imposto rispetto ad altri, tutti devono accettare il funzionamento orizzontale a rete. L’altro contributo dell’altermondialismo è stata la sua capacità di adattarsi ai nuovi contesti.

Nato soprattutto per contestare le istituzioni economico finanziarie OMC, FMI e Banca Mondiale, e il potere dei paesi dominanti riuniti nel G7,  il movimento altermondialista è stato decisivo nell’organizzazione delle  mobilitazioni del 2003 contro la guerra in Iraq,  e poi nell’emergere del movimento per la giustizia climatica  che si è mobilitato per le COP di Copenaghen o di  Parigi.

All’accumularsi delle crisi, economiche, sociali, ambientali e democratiche, il movimento altermondialista ha rappresentato il contesto  essenziale per pensare ad alternative capaci di cambiare il sistema e costruire le mobilitazioni  internazionali più indispensabili che mai.

La trasformazione della cultura politica dei movimenti è probabilmente il contributo più importante del movimento altermondialista alle mobilitazioni popolari. Ma queste hanno attraversato importanti evoluzioni in questi ultimi dieci anni, a partire dalle “primavere arabe” del 2011 ai movimenti Occupy  e Indignados.

La prima è il coinvolgimento dei giovani e degli strati popolari  in molti paesi. Anche se vi sono stati ripiegamenti e situazioni drammatiche, come vediamo ancor oggi in Siria, Egitto o nello Yemen, negli anni più recenti  le mobilitazioni  si sono comunque  moltiplicate e il 2019 ha toccato l’apice di questa ondata planetaria di lotte e rivolte.

La seconda evoluzione è la difficoltà di trovare i luoghi  e i contesti di scambio e di coordinamento tra queste lotte anche se i contenuti di queste mobilitazioni sono molto simili da un continente all’altro: la democrazia, certo,  ma anche i problemi sociali e ambientali come evidenziano le gigantesche manifestazioni per la “giustizia climatica”.  Uno dei motivi di questa difficoltà è l’evoluzione della situazione geopolitica mondiale.

Se il neoliberismo è ancora all’ordine del giorno di quasi tutti i governi, la frammentazione geopolitica ha sostituito la “governance mondiale” prevalente fino a 20 anni fa. Il G7, a Genova, era davvero il “direttorio del mondo” e il FMI e l’OMC imponevano le loro regole in tutti i continenti. E ben sappiamo quanto più facile sia il radunarsi contro avversari comuni e identificabili, il che non è più nella situazione odierna…

L’ultima grande evoluzione è il ruolo assunto dall’impegno diretto degli individui nelle mobilitazioni,  senza più passare dalla mediazione di organizzazioni di massa. I Forum sociali erano basati su movimenti e organizzazioni molto diversi tra loro, ma erano quelle strutture che decidevano i modi e i tempi delle mobilitazioni altermondialiste. Negli ultimi dieci anni  invece gli individui hanno prevalso sulle strutture organizzate. E’ stato il caso di Occupy, ma anche dei gilet gialli in Francia, delle marce per il clima dei “Fridays for Future”, del movimento “Hirak” in Algeria o delle mobilitazioni di Hong Kong i cui militanti vogliono essere “fluidi come l’acqua”.

Al presente, mentre la pandemia da Covid-19 mostra tutte le fragilità della situazione internazionale e della mondializzazione neoliberale, ma anche tutte le tendenze potenziali delle nostre relazioni con chi ci è vicino e con tutta l’umanità e il pianeta, dobbiamo affrontare queste situazioni e nuove problematiche in un mondo che di certo è ancora instabile e imprevedibile, ma dove le mobilitazioni popolari sono più forti che mai….

Photo credits: “Another World Is Possible” by Brooke Anderson

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza

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