di Stefano Risso
Lo scorso 9 ottobre, il Consiglio Comunale di Torino ha votato la delibera che avvia la trasformazione della Smat Spa, che gestisce l’acqua a Torino, in Azienda Speciale Consortile, dando finalmente applicazione alla scelta referendaria del 2011.
Questa notizia minimizzata, per non dire censurata, dei media mainstrean, ha comunque circolato sul tam tam altermondialista (un tempo si sarebbe parlato di samizdat). Si rende pertanto necessario riepilogare le difficoltà affrontate, quelle ancora da affrontare e, cosa più importante, le ragioni della pervicace testardaggine degli acquaioli torinesi.
Il punto di partenza che deve essere noto è la struttura della proprietà della Smat. Totalmente a capitale pubblico, coma a Napoli; ma con la differenza che è ripartita tra il Comune di Torino (socio maggioritario con circa il 65%) e altri quasi 300 comuni. Sostanzialmente si tratta dell’intera provincia che ha una conformazione tale da poter essere considerata, se non un un vero bacino idrico in senso stretto, sicuramente un’area coerente con una gestione unitaria dell’intero ciclo; non a caso, anche l’ATO (Ambito Territoriale Ottimale) è stato sempre considerato interlocutore e controparte del Comitato Acqua Pubblica.
La scelta di trasformazione in Azienda Speciale, necessariamente in forma consortile, dovrà essere approvata dal 75% della proprietà azionaria e da almeno il 40% dei soci.
Questo spiega quanto la scelta del Comune di Torino sia necessaria ma non sufficiente per il raggiungimento del risultato.
La battaglia per l’Acqua pubblica a Torino iniziò ben prima del referendum. Già nel 2003 ci fu un’azione promossa da Attac Torino contro una possibile messa a gara del servizio e un convegno per indicare la trasformazione in Azienda Speciale come obiettivo strategico, sull’esempio di Grenoble in Francia, di cui Raymond Avrillier raccontò la lotta felicemente conclusasi già negli ultimi anni del secolo appena passato.
Sempre prima della campagna referendaria, il costituitosi Comitato Acqua Pubblica Torino promosse una modifica dello statuto del Comune e di quello della Provincia, tramite due delibere di iniziativa popolare.
Dopo la campagna referendaria fu proposta una nuova delibera di iniziativa popolare per la trasformazione della Smat in Azienda Speciale, anche provando ad approfittare delle dichiarazioni dell’appena insediato sindaco Fassino, che, a differenza del predecessore dello stesso partito Chiamparino, si pronunciò pubblicamente a favore dell’acqua pubblica e dell’applicazione dell’esito del referendum.
Come le precedenti proposte anche questa fu sottoposta al parere di tutte le circoscrizioni, che si pronunciarono positivamente.
Tuttavia, una volta arrivata la delibera in aula, Il Consiglio Comunale stravolse la proposta e non approvò la trasformazione, limitandosi ad alcune modifiche statutarie, che prevedevano un tetto alla distribuzione degli utili e un aumento della maggioranza necessaria per l’eventuale apertura al capitale privato. I media cittadini si precipitarono a salutare il risultato come “vittoria dell’acqua pubblica” e la severa critica del Comitato a questo stravolgimento ebbe come conseguenza un autentico “embargo mediatico”.
Fu allora che Il Comitato rispose riproponendo la proposta di trasformazione agli altri comuni proprietari di Smat con il doppio obiettivo di rilanciare la proposta di trasformazione e costituire una minoranza in grado di bloccare un’eventuale ingresso di capitale privato nella proprietà.
Si è arrivati in questo modo, con un lavoro tenace e paziente, all’approvazione della delibera per la trasformazione di Smat in Azienda Speciale in 40 comuni.
In questa campagna, il Comitato ha agito su diversi fronti con un costante coinvolgimento della cittadinanza, sia in occasione delle numerose raccolte di firme; sia con la presenza con i “banchetti” nelle piazze a scopo informativo, riuscendo nel corso degli anni a entrare in contatto con numerose decine di migliaia di cittadini. Si arrivava a dire scherzosamente che ormai si era indicati nelle guide turistiche. Questa attività, rivolta a contatti massivi, ma individuali nel dialogo ,è stata preferita a mobilitazioni più tradizionali, che tendono a rivolgersi inevitabilmente ai “soliti noti”, pur utilizzando spesso forme di flash mob. Contemporaneamente a questo dialogo cittadino si è sviluppata una metodica analisi critica e documentata di tutti gli atti significativi della politica locale sull’acqua, in particolare i bilanci del gestore e i piani dell’ATO. Una concreta applicazione dell’autoeducazione popolare orientata all’azione.
Con la nuova amministrazione dopo le elezioni del 2016, gli sviluppi non sono stati immediatamente lineari: dopo una primissima buona impressione dovuta al programma elettorale convintamente in difesa dell’acqua pubblica, i primi atti ufficiali sono stati un autentico passo indietro. In ogni caso, nel 2017 viene presentata dalla nuova maggioranza una proposta di delibera consigliare che ricalca nella sostanza quella di iniziativa popolare. La nuova delibera viene approvata il 9 ottobre dal Consiglio Comunale con il voto anche della consigliera dell’opposizione di sinistra e di quello di un consigliere di centro-destra già candidato sindaco per l’intero centro-destra. Impressionante, in quella sede, la durezza dell’opposizione ideologica del gruppo consigliare PD; rigidità che si riverbera nelle circoscrizioni, a maggioranza PD, che esprimono tutte parere negativo, ribaltando, a maggioranze immutate, il parere positivo espresso alla precedente proposta, virtualmente identica, di iniziativa popolare.
Occorre appena ricordare che la scelta del comitato acqua per la trasformazione del gestore non parte da un presupposto ideologico ma intende ribaltare l’approccio nei confronti dell’acqua: da fattore economico a risorsa da tutelare.
L’esempio concreto dell’oggetto dello scontro politico (e inevitabilmente anche culturale) è dato dal fatto che con perdite rilevanti del 25-30% (circa 90 milioni mc annui, i dati precisi sono oggetto di controversia, ma non il loro ordine di grandezza) la risposta congiunta del gestore e del controllore politico (l’ATO) è sempre stata quella di proporre grandi interventi futuri (con una logica finanziaria di inevitabile indebitamento) a fronte di piccoli e mirati interventi manutentivi e di normale rinnovo delle condutture.
Altro tema importante è l’impiego delle risorse, che ad avviso del Comitato non devono essere finalizzate alla distribuzione dei dividendi, bensì reinvestite nella tutela della risorsa.
Su questi temi, che l’attualità del cambiamento climatico rende immediatamente drammatici, il Comitato ha sempre fatto sentire la sua voce indicandoli come esemplificativi della diversa ragion d’essere di un ente pubblico, che si vuole aperto alla partecipazione democratica, rispetto a una società commerciale costituita, come recita il codice civile, a scopo di lucro per i soci.
Le prossime tappe sono estremamente importanti e decisive, poiché occorre agire su diversi livelli: sia di pressione sulle istituzioni per ottenere la maggioranza dei Comuni (in termini di teste oltre che di quote), sia come sprone nei confronti del Comune di Torino per evitare che le esigenze della day to day administration lo portino a ritardare pericolosamente l’applicazione della delibera adottata.
In questa fase un elemento da non sottovalutare è la resistenza degli apparati amministrativi, estremamente riluttanti a mettere in discussione forme di amministrazione ormai consolidate nel tempo oltre che poco abituati a muoversi controcorrente.
Più importante ancora è la consapevolezza della necessità di non limitare questa campagna a una questione di mere competenze tecniche o specialistiche: lo sforzo dovrà essere quello di non rinunciare mai alla puntuale e documentata argomentazione delle proprie ragioni riuscendo a comunicarla all’insieme della cittadinanza.
Si tratta di una importante battaglia politica e ancor più culturale, perché c’è la possibilità, su questo specifico tema, di far arretrare concretamente la visione neoliberale in un paese come il nostro, dove il pensiero unico è riuscito, più che altrove, a pervadere con la propria egemonia tutti gli interstizi della società.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 31 di Novembre-Dicembre 2017: “Lavoro e non lavoro”