A dieci anni dal referendum l’acqua pubblica è sempre il futuro

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di Paolo Carsetti (Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua)

Il 12 e 13 giugno 2011 si è votato per la riappropriazione sociale dell’acqua.

È stato un voto che ha raccontato la voglia di sentirsi in comune e non soli contro il prossimo. Un voto conquistato con passione, entusiasmo, impegno, creatività e sacrificio.

È stato un voto contro l’ignavia, contro il silenzio, contro la passività, contro la complicità dei più, per il ritorno al futuro.

Con la campagna referendaria è stata riscoperta la convivialità della lotta. Si è messo un argine all’invasione del pubblico da parte del privato. E’ stato riportato al centro l’individuo caratterizzandolo con i suoi legami sociali, con la collettività con cui si relaziona.

Si è trattato di un fragoroso monito per le lobby economico-finanziarie che perseguono da decenni la mercificazione e finanziarizzazione dell’acqua e della sua gestione.

Per comprendere la straordinarietà di quanto avvenuto il 12 e 13 giugno si deve far riferimento al fatto che si è parlata una lingua in grado di far sentire le persone protagoniste di questa battaglia, ognunə  a modo suo.

Tutto ciò è stato possibile perché frutto di un lungo percorso fatto di relazioni umane e politiche.

Dieci anni fa si è riuscito ad imporre il tema dell’acqua bene comune nell’agenda politica del Paese e a far emergere una maggioranza culturale abbattendo l’ideologia del “mercato è bello”.

Dopo un primo periodo di spaesamento il mantra delle privatizzazioni è tornato presto ad essere il faro delle élite politico-finanziarie che governano il nostro paese.

In questi dieci anni di fronte all’aggressività delle politiche liberiste, che si prefiggono da sempre la messa sul mercato dell’intera vita delle persone, il movimento per l’acqua è stato in grado di mettere insieme resistenza e proposta: ha costruito una forte resistenza contro le privatizzazioni facendo ricorso alla sensibilizzazione attiva, alla mobilitazione politica, all’attivazione sociale fino alla dis-obbedienza civile e, contemporaneamente, ha avanzato una proposta radicale e alternativa tanto a livello locale mediante delibere e referendum quanto a livello nazionale, aggiornando la proposta di legge per l’acqua pubblica e indicando in questa l’unico reale strumento per l’attuazione della volontà popolare.

In questo periodo la crisi idrica ha fatto emergere le responsabilità di un sistema di gestione caratterizzato da una decennale mancanza di pianificazione e investimenti infrastrutturali perché piegato a una logica monopolistica e privatistica che punta esclusivamente alla massimizzazione del profitto. Inoltre si è evidenziato come tale sistema sia andato a sovrapporsi al fenomeno del surriscaldamento globale e dei relativi cambiamenti climatici impattando negativamente sulla disponibilità dell’acqua per uso umano, sull’agricoltura e più in generale sull’ambiente.

A 10 anni dal referendum possiamo dire che l’iniziativa del movimento per l’acqua ha contenuto la spinta privatizzatrice, ha contribuito alla rottura socio-culturale sul tema della liberalizzazione dei servizi pubblici e ha costruito con testardaggine un fronte europeo, prima inesistente.

Sono stati analizzati approfonditamente i meccanismi del calcolo della tariffa e del reinserimento della remunerazione del capitale da parte di ARERA, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, ed è stato messo in campo un calcolo per l’autoriduzione delle bollette mediante la campagna di “Obbedienza civile”.

Inoltre, si è prodotto lo sforzo di tradurre una visione olistica del ciclo integrale dell’acqua come parte integrante del discorso sui beni comuni. Tema di estrema attualità che il percorso del movimento per l’acqua ha incrociato quasi da subito contribuendo a farlo diventare pensiero diffuso e nuova teoria e pratica sociale. Si è incrociata la questione decisiva della democrazia e della necessità di una sua espansione, sia facendo emergere come le privatizzazioni si accompagnano sempre ad un’espropriazione decisionale dei cittadini e delle comunità locali, sia come fosse necessario reinventare nuovi processi decisionali, quelli che sono stati chiamati democrazia partecipativa, per reagire non solo all’appropriazione privata di un bene comune fondamentale, ma anche ad una gestione pubblica sempre più separata ed estranea al perseguimento degli interessi sociali generali.

Allo stesso tempo però si è assistito ad un affievolimento della capacità del movimento di tenuta organizzativa, di intervento e di mobilitazione concreta pur mantenendo una elevata credibilità in tanti settori, reti sociali e politiche.

Infatti, se è vero che permane una diffusa vertenzialità, con alcuni territori anche in fase di espansione aggregativa, si conferma sempre più labile il coordinamento e l’unità d’intenti della dimensione nazionale ed è caratteristica comune un progressivo restringimento della partecipazione ai comitati.

Dunque, da una parte il rinnovato attacco privatizzatore, dall’altra il fisiologico affievolimento delle fila del movimento per l’acqua, oltre a qualche errore commesso, hanno fatto sì che non si sia  concretizzato l’esito “politico” del referendum ossia l’affermazione di un nuovo modello di gestione pubblica, partecipativa e ambientalmente sostenibile soprattutto di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici, con tariffe eque per tutti i cittadini, un modello che garantisca gli investimenti necessari fuori da qualsiasi logica di profitto e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

A dieci di distanza, l’emersione della pandemia e della conseguente crisi economico-finanziaria a livello globale ha permesso il rilancio dei processi di privatizzazione in grande stile.

Oggi, però, si utilizza una strategia ben più subdola di quella sconfitta dal referendum, ovvero non si obbliga più alla privatizzazione ma si favoriscono i processi che puntano ad raggiungere il medesimo obiettivo attraverso la promozione di modelli di gestione come quelle delle grandi aziende multiutility quotate in Borsa.

La cosiddetta “riforma” del settore idrico contenuta nel Recovery Plan, così come aggiornato dal governo Draghi, e le cosiddette riforme strutturali che lo accompagneranno puntano di fatto alla privatizzazione, in particolare nel Mezzogiorno.

L’attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza risulta in “perfetta” continuità con l’azione dei governi precedenti tesa a disconoscere e tentare di cancellare l’esito referendario.

Inoltre, da dicembre 2020 l’acqua, al pari di una qualsiasi altra merce, è stata quotata in Borsa. Un passaggio epocale che apre alla speculazione dei grandi capitali e alla emarginazione di territori, popolazioni e costituisce una grave minaccia ai diritti umani fondamentali.

Oggi più di ieri, dunque, è importante riaffermare il valore universale dell’acqua come bene comune e la necessità di una sua gestione pubblica e partecipativa come argine alla messa sul mercato dei nostri territori e delle nostre vite, e contrastare il rilancio dei processi di privatizzazione.

Per queste ragioni il movimento per l’acqua, insieme alla coalizione sociale che condivise la campagna referendaria, ha deciso di prendere di nuovo parola e di riappropriarsi delle piazze così da rilanciare con forza i temi paradigmatici e fortemente attuali emersi 10 anni fa.

L’invito lanciato a tuttə è quello di saper cogliere questa occasione e costruire insieme le iniziative diffuse sui territori, una grande manifestazione nazionale sabato 12 giugno a Roma alle ore 15,30 a Piazza dell’Esquilino e infine partecipare al dibattito on line a carattere internazionale sui processi di ripubblicizzazione di domenica 13 giugno alle ore 18.00.

Viviamo tempi straordinari e si tratta di attrezzarci di conseguenza per “liberare il presente e riappropriarci del futuro, consapevoli che il tempo è ora”.

 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza

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