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di Marco Bersani, Attac Italia
Il capitalismo è onnivoro e la finanziarizzazione dell’economia, della società, della natura e della vita non conosce perimetri, né limiti. Quando, a inizio millennio, si era resa evidente la sua insostenibilità a livello sociale (una disuguaglianza mai così ampia nella storia dell’umanità) e a livello ecologico (una crisi ecoclimatica che investe la vita quotidiana delle persone), aveva pensato bene di by-passare le critiche adottando i criteri ESG (Environmental, Social, Governance) come parametri per definire la sostenibilità degli investimenti, basandosi sul loro impatto ecologico, sociale e di gestione.
Non serve commentare come la scarsa trasparenza, la contraddittorietà e l’ingannevolezza dei dati abbiano reso questi criteri una moderna strategia di green e social washing e un valore aggiunto di marketing, invece che determinare un’inversione di rotta in direzione delle finalità sociali ed ecologiche sbandierate.
La nuova dimensione della guerra intrapresa dal capitalismo in questa fase esaspera e rende ancora più esplicita l’ideologia che sottende il concetto di sostenibilità degli investimenti.
La cornice politica è ormai nota: con il piano ReArm Europe (ribattezzato Readiness), approvato nel marzo scorso, l’Unione Europea prevede la mobilitazione di ben 800 miliardi di euro in direzione di investimenti nella difesa e nell’industria degli armamenti, mentre con l’accordo siglato nel giugno scorso in sede Nato i governi hanno preso addirittura l’impegno di destinare nel prossimo decennio il 5% del pil alla spesa bellica. Il primo passo in questa direzione lo ha fatto la Banca Europea degli Investimenti (Bei), allentando le restrizioni sinora previste nel suo statuto sugli investimenti nel settore militare. E i primi effetti si sono già visti: sono oltre duemila i fondi europei definiti sostenibili che detengono in portafoglio società della filiera militare.
Ma non è che l’inizio, perché l’Unione Europea ha deciso di accelerare nella costruzione di una finanza a misura della guerra: Euronext, il principale mercato borsistico paneuropeo (riunisce la piazze di Parigi, Milano, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona e Dublino) ha avviato una nuova stagione per l’industria strategica introducendo nuovi criteri ESG, declinati questa volta intorno all’energia (Energy), alla sicurezza (Security) e alla geopolitica (Geostrategy), con l’obiettivo da una parte di allargare la maglia dei criteri di sostenibilità con cui vengono definiti gli investimenti finanziari, dall’altra di permettere alle imprese del settore aerospaziale e militare di accedere a questi fondi.
Il reticolo di iniziative previste è notevole: dall’European aerospace and defence index, paniere di titoli che permette agli investitori un’esposizione mirata alle imprese del comparto, integrato con i criteri Esg già esistenti, all’European aerospace and defence growth hub, piattaforma di supporto per l’accesso ai mercati finanziari per le piccole e medie imprese della filiera militare; dall’Ipoready defence, programma di formazione per le aziende militari che vogliono quotarsi in Borsa agli European Defence Bond, etichetta destinata alle obbligazioni che finanziano progetti di difesa.
Il giochetto è dunque semplice: basta ampliare il concetto di sostenibilità degli investimenti, introducendo la sicurezza come parte integrante dello stesso ed ecco che finanziare bombe, carri armati e droni diventa un investimento sostenibile, con tanto di etichetta garantita.
Per chi non lo ha già fatto, è forse venuto il momento di occuparsi in prima persona della gestione del proprio risparmio e di convogliarlo verso la finanza etica (quella realmente tale) per non ritrovarsi ad essere inconsapevolmente complici delle guerre in corso e in preparazione.

