Il sogno europeo, l’incubo UE

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Curled Butter” di David Masters (CC BY 2.0)

di Roberto Musacchio (Transform Italia)

In tanti, giustamente, irridono al kit di sopravvivenza promosso dalla Commissione europea. Sperando che sarà una risata che li seppellirà, a me questa cosa angoscia non poco.

Mi pare la conferma che il sogno europeo si è trasformato nell’incubo Ue.

Mi sento addirittura sostanzialmente espropriato dal poter dire la mia su pace e guerra. Mi sento che sono in mano a un mix di burocrati facenti funzione e di governi che ormai non rispondono ai Parlamenti. Io cittadino, invece, non riesco neanche a parlare con qualcuno che abita da qualche altra parte nel Continente europeo. Non parliamo la stessa lingua. Non c’è uno straccio di opinione pubblica, non esistono in pratica corpi intermedi democratici.

Dopo 33 anni di Ue, un trattato (Maastricht), fatto apposta per ridare tutto il potere alle borghesie, invece di armonizzare le condizioni sociali ha allontanato e ridotto salari, pensioni, welfare e diritti sul lavoro. In Italia, poi, i salari stanno peggio di 30 anni fa. Infatti, Maastricht ha imposto quella politica dei redditi tanto cara a Giorgio La Malfa, e non solo, e che il Pci ed Enrico Berlinguer contrastavano. Ora sappiamo chi aveva ragione.

Appare impressionante anche leggere quanto diceva sempre Enrico Berlinguer, in una intervista a Critica Marxista (1984), a proposito di una Europa armata.

«Le forze politiche le quali sostengono che la difesa dell’Europa va cercata nella formazione di un terzo blocco militare si mettono in una posizione senza via di uscita. E non solo perché l’Europa, in questo modo, non eserciterebbe quella funzione di equilibrio e di moderazione che può e deve avere e che le è richiesta dal mondo progressivo extraeuropeo”.

«I paesi della Comunità, del resto, non hanno alcuna realistica possibilità di sostenere l’onere dell’armamento nucleare e degli altri armamenti che oggi integrano quello nucleare. L’Europa è come costretta, per sue intrinseche ragioni non solo economiche, a una politica di pace. A costringerla c’è il fatto che l’Europa è, tra Ovest ed Est, territorio di confine e di incrocio. Non solo una guerra totale, come è ovvio, ma anche una guerra locale, di “prova” e di “esibizione”, tra le massime potenze, avrebbe per l’Europa conseguenze di annichilimento».

«Aggiungo infine che se l’Europa prendesse la via di divenire un terzo blocco militare, la direzione della vita politica europea finirebbe per essere presa, prima o poi, da gruppi e caste reazionarie».

Naturalmente non c’era solo Enrico Berlinguer ad avere questa lucidità.

Willy Brandt e Olof Palme erano due giganti del disarmo, dell’Ostpolitik, di un nuovo rapporto Nord Sud.

E Michail Gorbaciov scelse il Consiglio d’Europa, purtroppo senza ascolto alcuno, per avanzare la proposta di un’Europa casa comune, oltre gli steccati della guerra fredda.

Steccati che per altro non avevano impedito alle due parti dell’Europa divise di conoscere percorsi che avevano similitudini e di arrivare, nel 1975, a una Conferenza sulla sicurezza (Helsinki) che produsse scelte importanti sul disarmo, la cooperazione, i diritti.

Ho parlato di similitudini perché ho in mente lo speciale che Le Monde Diplomatique dedicò ai 30 anni dal 1989.

Partendo dalla demografia spiegava come un trentennio di neoliberismo aveva influito sul corpo europeo come una guerra. Il primo esempio preso in considerazione era proprio l’Ucraina in cui si registrava un trend demografico opposto a quello ascendente del secondo dopoguerra, con milioni di abitanti in meno causati da migrazioni, riduzioni di nascite e aspettative di vita. Con i fattori economici a pesare. Quadro analogo alle aree deboli coinvolte nei percorsi di assimilazione passiva nelle aree forti.

Naturalmente ci sono altri che hanno provato a costruire l’altra Europa, alternativa all’Europa reale.

Parlo dei Movimenti pacifisti e altermondialisti, capaci di stare in campo contro gli euromissili così come contro Maastricht e poi l’austerity. Un periodo molto lungo e non facile se si pensa che eravamo prima nella contrapposizione tra capitalismo e socialismo reali e poi nella costruzione dell’Europa reale.

Purtroppo, le sconfitte e la perdita di quella bussola rappresentata dalla comprensione chiara delle guerre militari, economiche e sociali, della guerra mondiale a pezzi, della contrapposizione tra dominanti e moltitudini, del ruolo dell’impero finanziario globale, hanno portato a un’eclissi e a una divisione nella cosiddetta seconda potenza mondiale: i pacifisti. A fronte di quello che viene chiamato tecno feudalesimo, segnato dal passaggio dalla forza della politica alla politica della forza.

L’impatto di questo passaggio sull’Europa reale, per altro, è fortissimo e tale da cancellare il ‘900 e ricondurlo ai suoi albori con gli incroci possibili tra nazionalismi e destre suprematiste. Tra le quali il suprematismo occidentale alimentato dal trentennio neocon, in cui sono transitati dalla destra di George H. W. Bush a settori di cosiddetta sinistra radical.

Le difficoltà nelle quali ci troviamo vanno affrontate, non rimosse.

Da un lato abbiamo una sorta di sinistra occidentalista che considera le autocrazie il pericolo principale e si adegua a questa scala, abbassando spesso la guardia rispetto alle democrature e alla crisi democratica generale di cui l’Ue, mix di funzionalismo e inter governativismo, è un esempio strutturale.

A volte è tutta una rilettura del ‘900 che lega stalinismo e putinismo. Cosa che rimuove però l’anticomunismo che ha determinato non poco i drammi delle due guerre mondiali e l’involuzione stessa del socialismo reale in una dimensione statuale e autoritaria.

All’opposto ci sono forme che, anche senza arrivare al rossobrunismo, sottovalutano o mettono del tutto in secondo piano l’antifascismo e la contrapposizione alle destre.

È quanto mai importante ritrovare quella radicale alterità che contraddistingueva il Social forum europeo. Un’identità culturale forte perché ampia e libera. In cui potevi trovare dal Manifesto di Ventotene all’eurocomunismo, alle intersezionalità ambientaliste, femministe, pacifiste.

Purtroppo, l’europeismo reale ha invece fatto danni profondi, passando per lo strangolamento della Grecia e arrivando, ora, al bellicismo e al riarmo. Le illusioni dei due tempi, prima la Ue e poi la democrazia, hanno lastricato la via dell’inferno in cui siamo.

La Germania che toglie in un amen il dogma del pareggio di bilancio – per fare armi e rendersi capofila della Ue bellicista – è l’emblema di come operano i dominanti, accordandosi tra di loro pur di continuare a dominare.

È ora di reagire.

Gli appelli contro i ReArm europei e nazionali vanno agiti e resi base di una mobilitazione.

La proposta di una Helsinki 2, base del testo condiviso da Fondazione Di Vittorio, Fondazione Basso, Centro per la riforma dello Stato (Crs) e Costituzionalisti per la democrazia, in via di sottoscrizione, è un’utile base di lavoro.

Ma bisogna mobilitarsi, anche contro il cappio del pareggio di bilancio, da sinistra.

Per il burro, contro i cannoni.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 54 di Aprile- Maggio 2025: “L’Europa che non c’è

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