Viaggio in Palestina: appunti di un pellegrinaggio di Pace

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il racconto di Antonio De Lellis

 

Dal 13 al 16 giugno si è svolto il primo pellegrinaggio in Palestina dal 7 ottobre, organizzato dalla diocesi di Bologna guidata dal cardinal Matteo Maria Zuppi, presidente della CEİ. 160 persone provenienti da diverse regioni, di diversa estrazione sociale ed ecclesiale, che hanno sostenuto le attività sociali e umanitarie di varie parrocchie con una somma raccolta di oltre 60.000 euro, alla quale si aggiungerà quanto verrà ancora raccolto tramite il conto corrente dedicato.

L’effetto più evidente della guerra in Israele e Cisgiordania è proprio l’assenza di turisti e pellegrini. Nella Old City di Gerusalemme molti negozi artigianali e commerciali sono chiusi. Anche i luoghi santi sono insolitamente vuoti. L’incontro con la stampa nazionale italiana nel Getsemani è inatteso, ma la notizia del nostro arrivo è un segno importante anche per loro.

Durante la celebrazione eucaristica officiata dai cardinali Pizzaballa e Zuppi vengono ripetuti appelli alla pace e alla convivenza che sembrano riferimenti cauti, certo suggeriti dalla prudenza e dalla delicatezza del momento. Qui le parole e i segni contano molto. Alla sede del patriarcato Latino a Gerusalemme due donne ebree spiegano la loro sofferenza per ciò che hanno subito, ma anche le profonde ingiustizie che subiscono i Palestinesi dal 1948. La convivenza è l’unica possibilità, ma questa si ottiene per contrazione reciproca e per riduzione di privilegi e ingiustizie sistematiche.

Durante gli incontri, che si susseguono incessantemente, anche quello con un rabbino, che ci spiega come gli israeliani siano troppo abituati a uccidere per rendersi conto di quello che stanno facendo. Lo stesso rabbino all’indomani ci accompagna in un villaggio di beduini palestinesi che vivono nel deserto, in una zona dichiarata militare, nella quale però restano e resistono, costruendo anche una scuola molto avversata dai militari, i quali in passato hanno provocato morti e feriti. Prima della costruzione della scuola i bambini dovevano percorrere venticinque chilometri al giorno per raggiungere quella più vicina.

Subito dopo una visita in una colonia ove non manca nulla, dall’acqua al verde lussureggiante, mentre i palestinesi sono troppo impoveriti e avversati da un sistema in cui sono vittime di vittime.

L’incontro più atteso è quello con il sacerdote di Gaza che ci racconta di sofferenze, morti e feriti. La carne a Gaza costa 300 euro al chilo e le cipolle 26 euro. La vita quotidiana è impressionante, ma i religiosi e laici continuano, con la loro incessante presenza, ad esprimere vicinanza e sostegno spirituale e materiale. Denunciano però anche soprattutto in questi giorni terribili di guerra e sotto l’occupazione sempre più dura, la condizione delle famiglie senza lavoro, dei giovani senza prospettiva per il futuro, della paura, dell’ansia e della delusione nei confronti della comunità internazionale in generale e dei leader occidentali in particolare.

La cosa che mi ha impressionato di più è stato l’incontro con i bambini palestinesi gravemente disabili, una sorta di Cottolengo di Betlemme, sostenuti da un manipolo di suore argentine. I bambini hanno espresso la loro gioia nel vederci, ma anche il desiderio di non lasciarci andar via. Si sono abbracciati a noi e, a ben pensarci, sono stati gli unici palestinesi a farlo perché gli altri vivono in una sofferenza profonda che si traduce in povertà estrema, la stessa che ci hanno dimostrato, in tutta la loro insistenza, quegli ambulanti palestinesi che non ci lasciavano mai soli, nella nostre visite in Cisgiordania. Non ci sono senza dimora per strada, come avviene nelle nostre città, ma sicuramente i palestinesi non sono cittadini e non contano nulla di fronte alle autorità israeliane.

Possiamo fare molto per loro: raccontare ciò che abbiamo visto, tornarci, far venire attivisti e turisti perché il commercio è la vita per molti palestinesi, ma anche denunciare i soprusi quotidiani dei coloni che, nelle zone rurali, distruggono i raccolti e rendono quasi impossibile la sopravvivenza dei palestinesi. Avrei voluto sentire molto di più le denunce per le sofferenze di un genocidio in atto e sentir parlare delle cause delle ingiustizie profonde, ma ha prevalso una prudenza, anche dei pellegrini, molti dei quali hanno visto per la prima volta, gli effetti indiretti di una guerra che preesisteva al 7 ottobre. Gli israeliani sono davvero distanti dalla loro storia e dal loro presente e potranno cambiare solo grazie alla pressione internazionale. Così ci hanno detto i beduini e il rabbino. Visitiamo la Palestina, non lasciamoli soli e costringiamo Israele a cambiare radicalmente politica ed economia. La storia si può ripetere così come è avvenuto in Sud Africa, laddove la forte pressione internazionale e i movimenti interni nonviolenti hanno consentito una convivenza nel perdono e nella giustizia, che anche oggi è presente e che tanto ci fa sperare per la Palestina. Qui i segni e le parole contano molto.

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