Sorvegliare, punire. E spiare

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Polizia” Immagine del Fatto Quotidiano (CC BY-NC-SA 2.0)

di Cristiano Bordin, Attac Italia

In contemporanea con il dibattito parlamentare sul Decreto Sicurezza arriva la notizia della infiltrazione di un agente di Polizia nelle fila di Potere al popolo (Pap), a Napoli.

Dopo prevedibili smentite e giustificazioni farsesche emerge che è andata proprio così: un agente di 21 anni, figlio di un poliziotto, è stato trasferito da Milano a Napoli per occuparsi, per sette mesi, di un partito che fa la sua attività politica alla luce del sole, ha una presenza ormai consolidata in gran parte del territorio e presenta propri candidati regolarmente alle elezioni politiche sia locali sia nazionali.

La formazione, l’agente l’ha ricevuta dalla Direzione nazionale centrale della Polizia di Prevenzione, il vecchio Ucigos riorganizzato, che ha tra le sue funzioni la prevenzione della radicalizzazione degli estremismi politici e l’antiterrorismo, sia interno sia internazionale.

Una vicenda che è, quindi, un campanello di allarme per tutti.

Anche perché il quadro complessivo in cui si inserisce è sempre più preoccupante.

Nell’ ultima settimana di maggio 2025 è passato alla Camera il Decreto Sicurezza, contro cui si è battuto un ampio fronte di forze organizzato nelle due reti ‘A pieno regime’ e ‘Liberi di lottare’.

Decreto legge che fa tornare reato penale un’azione come il blocco stradale per il quale, se “commesso da più soggetti riuniti”, è prevista una pena che va da sei mesi a due anni di carcere.

Sul caso della infiltrazione nell’organizzazione di Pap sono state presentate tre interrogazioni parlamentari (Avs, Pd e del Movimento 5stelle), che pongono una questione non certo di secondo piano: che tipo di coinvolgimento c’è stato da parte delle forze dell’ordine e del Ministro degli Interni?

Pap è una tra le forze politiche più attive su questioni come il lavoro degno, i diritti delle persone migranti, l’abitare e altre. Tra queste vi è il sostegno alla Palestina e proprio una manifestazione nazionale, a Milano, ha subito, più di un mese fa, una carica tanto violenta quanto ingiustificata: la scelta della Polizia è stata quella di criminalizzare chi scende in piazza contro il massacro di Gaza?

Un infiltrato, anche per accreditarsi con i suoi superiori, può facilmente mettere qualcosa di compromettente nella sede del partito o nello zaino di qualche suo militante. Sicuramente poi ci sarà, negli ambienti governativi e sui media che lo sostengono, qualcuno che griderà all’emergenza richiedendo il pugno di ferro contro un intero movimento.

È già successo ed è un copione consolidato.

Lo dimostra anche la vicenda dell’Ong Mediterranea spiata dai servizi segreti perché “pericolosa per la sicurezza nazionale”. Un’operazione molto più sofisticata, decisa e gestita ad un livello molto più alto che rende perfettamente l’idea del periodo che stiamo attraversando.

Un periodo in cui sicurezza e repressione sono parole chiave e programma politico e in cui chiunque prova a opporsi a queste logiche è destinato ad essere criminalizzato.

Con il software militare ‘Paragon’ o con un agente ventunenne, a seconda del contesto e delle circostanze.

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