Perché la legge elettorale dovrebbe interessare ai movimenti

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di Lorenzo Zamponi

L’indipendenza e autonomia dei movimenti dai partiti e dalle istituzioni rappresentative è un punto politico costitutivo per molti, e il risultato di decenni di battaglie per il riconoscimento delle istanze sociali come direttamente titolari di politica. Il monopolio dei partiti sulla politica è finito da tempo, e la presenza di altri tipi di soggettività politica nella nostra società è un fatto di cui tutti devono tenere contro. L’autonomia del sociale, però, troppo spesso è stata confusa per autismo, portando i movimenti a non occuparsi in maniera regolare e autorevole del gioco della rappresentanza e delle sue regole. 

Di crisi dei partiti e di crisi della rappresentanza si parla da 30 anni. La Seconda Repubblica sta finendo con la stessa alternativa che chiuse la Prima, quella tra la difesa di un sistema dei partiti in crisi e il suo superamento in senso plebiscitario e anglosassone. La storia ha dimostrato l’insufficienza di entrambe queste prospettive, e la transizione che il sistema politico del nostro paese sta vivendo pone interrogativi già emersi in passato: come si esprime la partecipazione democratica sul piano sociale e su quello della rappresentanza politica, in una società complessa? Come possono i soggetti sociali, oggi articolati in maniera ben più frammentata e complessa di qualche decennio fa, trovare un’espressione all’interno e all’esterno del quadro politico parlamentare? Quali strumenti di organizzazione possono tenere insieme soggetti sociali e politici, partiti e movimenti, associazioni e collettivi, cooperazione e mutualismo, in coalizioni pragmatiche ed efficienti?

Questioni come queste non riguardano solo i dirigenti e militanti dei partiti, ma anche e soprattutto chi fa politica in maniera diversa. Il tema del rapporto tra movimenti e partiti, tra conflitto e rappresentanza, non è affrontabile se non assumendolo come una tensione irrisolvibile tra due poli, all’interno della quale un sistema complesso di attori in relazione tra loro trova una propria configurazione fatta di avanzamenti, ripiegamenti, cooperazioni virtuose e devastanti rotture. Ma essere impegnati nei movimenti non esime dal porsi il problema della necessità di soggetti politici generali, in grado di fare qualcosa di più che mettere in fila le vertenze e dare loro visibilità nelle istituzioni: soggetti politici generali in grado di costruire meccanismi di identificazione collettiva con la grande maggioranza delle persone e di mettere in campo priorità e strategie. Chiaramente non è detto che l’unica forma di soggetto politico generale sia il partito di massa come l’abbiamo conosciuto nel secolo scorso. Il dibattito su questo è aperto, ed esistono diverse posizioni in campo sul rapporto tra politico e sociale, sulla legittimità dei partiti come attori sociali e viceversa sulle possibilità cessioni di sovranità dei partiti nei confronti dei movimenti.

In ogni caso, anche nella più limitata delle concezioni del partito, la sua titolarità del piano della rappresentanza politica non è messa in discussione. Anche solo come rappresentanti istituzionali, come “sponda politica” delle lotte sociali, come dice spesso Maurizio Landini, o come loro “terminale sociale”, per usare un’espressione cara a Stefano Rodotà, i partiti continueranno a esistere e ad avere un rapporto con i movimenti.

Da questo punto di vista, quindi, il rapporto tra partiti e movimenti diventa il rapporto tra movimenti e rappresentanza politica, e il sistema elettorale diventa un nodo fondamentale. Il proporzionale, ad esempio, favorendo un sistema multipartitico, favorisce l’accesso al sistema da parte di nuovi attori, e incentiva quindi i movimenti a farsi partito, o comunque a partecipare alla costruzione di un nuovo soggetto di alternativa, mentre il maggioritario, favorendo un sistema bipartitico, rende molto difficile per nuovi soggetti l’ingresso nel sistema, e spinge quindi i movimenti a cercarsi riferimenti istituzionali all’interno dei partiti mainstream, favorendo spesso dinamiche di cooptazione. Preferiamo, come movimenti, avere come potenziale alleato una sinistra radicale più vicina alle nostre posizioni ma che difficilmente governerà da sola, oppure un partito più moderato di centrosinistra con cui abbiamo meno punti di contatto ma che su quei punti ci può assicurare risultati concreti?

Non è un caso che i movimenti dell’Europa continentale, dove proporzionale e multipartitismo sono la regola, tendano generalmente a essere ideologicamente orientati, e di conseguenza a trovare alleati e riferimenti nelle zone laterali del sistema politico, mentre negli Stati Uniti, con maggioritario e bipartitismo, tendano più a organizzarsi come gruppi di pressione su un singolo tema, puntando a influenzare l’agenda dei partiti mainstream a prescindere da connotazioni ideologiche.

Se il sistema elettorale influenza il rapporto tra movimenti e partiti, a maggior ragione influenza l’ingresso di attivisti di movimento nel campo della rappresentanza politica. Sarebbe potuta nascere Podemos fuori dal contesto proporzionale delle elezioni europee in Spagna? E sarebbe stato possibile, invece, il massiccio ingresso di attivisti di movimento all’interno del Labour britannico, senza il bipartitismo che caratterizza la politica del Regno Unito?

Inoltre, il sistema elettorale è una metafora della rappresentanza democratica in generale. Nella piattaforma della manifestazione del 15 maggio 2011 in Spagna, da cui nacquero gli Indignados, c’era la rivendicazione di una legge elettorale davvero rappresentativa in senso proporzionale. Rivendicare partecipazione democratica all’interno delle istituzioni fu il primo passo per la proposta di “democrazia reale” che era al centro di quella mobilitazione.

La partecipazione di molte realtà di movimento alla campagna referendaria degli scorsi mesi è un segnale che i temi istituzionali stanno iniziando a fare breccia anche tra chi non considera la rappresentanza come il proprio principale strumento di partecipazione politica. Il dibattito sulla legge elettorale dei prossimi mesi avrà bisogno anche della loro voce.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 28 di Marzo-Aprile 2017: “Dov’è finita la democrazia?” 

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