di Francesco Valente
Dopo una prima fase durata più di un anno e mezzo, che ha visto i custodi sociali di Mondeggi impegnati nel consolidamento e nell’articolazione del progetto, è tempo di stilare un bilancio provvisorio. Il programma di recupero di buona parte dei quasi 200 ettari della tenuta dallo stato di abbandono in cui versava, è arrivato ad uno stadio molto avanzato; così come l’impianto di attività agricole biologiche che comprende orti, seminativi, oliveto, vigneto, allevamenti animali, ecc..Tuttavia il progetto Mondeggi Bene Comune (MBC) era ed è più ambizioso e mira in primo luogo alla riappropriazione da parte della comunità della risorsa naturale Mondeggi, messa all’asta dalla proprietà pubblica per riparare ai buchi di bilancio della sua gestione fallimentare. Tale finalità ha trovato attuazione nel coinvolgimento di circa 150 cittadini/e cui sono state affidate parcelle di orto e/o di oliveto dimensionate sulla scala dell’autoconsumo familiare; senza contare quella sorta di largo azionariato popolare che ha consentito l’acquisto e la messa a dimora di circa 400 piante da frutto di varie specie. In secondo luogo punta alla riqualificazione culturale e sociale dell’area attraverso iniziative come la Scuola contadina (corsi gratuiti di potatura, permacoltura, apicoltura, ecc.), le proiezioni cinematografiche e gli eventi teatrali, gli incontri con ospiti spesso di rilievo che non hanno voluto far mancare il loro appoggio. In terzo luogo ambisce a rappresentare un catalizzatore per lo sviluppo di un dibattito e di pratiche contro-sistemiche che mettano in discussione le devastanti soluzioni imposte dal Mercato e dallo Stato.
Risulta quindi evidente l’importanza attribuita da MBC al rapporto con la comunità territoriale, questione che ha assunto una rilevanza centrale in seguito all’esaurimento della fase iniziata con il secondo dopoguerra e durata pressappoco un trentennio, nel corso della quale si era diffuso nell’occidente capitalistico il modello fordista e welfaristico. Il discorso meriterebbe ben altra trattazione ma, agli effetti di quanto andiamo dicendo, ciò che rileva in quella transizione è l’affermarsi di un netto ridimensionamento delle differenze, che si erano consolidate, tra le pratiche gestionali del pubblico e quelle del privato. Da quel momento in poi, seguendo l’indirizzo culturale prevalente, l’orientamento amministrativo del settore pubblico si appiattisce sui criteri aziendalisti di quello privato e lascia campo libero a una gestione del bene pubblico che non ha più nulla a che fare né con la salvaguardia degli interessi sociali complessivi né con le politiche redistributive. Astraendo per ragioni di spazio dalle pur importanti distinzioni che andrebbero operate tra pubblico, collettivo e comune, possiamo infatti sostenere che le finalità perseguite dal governo dei beni pubblici ormai riguardano il finanziamento del ceto politico e dei suoi strumenti di controllo politico-sociale, nonché l’instaurazione e la legalizzazione di moderne forme di enclosures che consentono lo sfruttamento del comune (in queste righe ovviamente inteso come common non come suddivisione amministrativa) per i processi di valorizzazione del capitale privato. Una vecchia storia, se vogliamo.
Ha così acquistato nuova attualità il concetto di comunità, intesa come soggetto in grado di garantire un corretto (non privatistico) orientamento sociale alla gestione delle risorse collettive. In quest’ottica la comunità si candida dunque a rilevare/esautorare di fatto un’amministrazione pubblica non più in grado, storicamente prima ancora che soggettivamente, di assolvere alla funzione sociale che ormai le viene assegnata soltanto da un’ideologia scopertamente mistificatoria. E’ su questa base che MBC ha intrapreso un’iniziativa per molti versi innovativa di costruzione di soggettività comunitaria, coinvolgendo i cittadini nelle forme sopra descritte e chiedendo la loro partecipazione su base paritaria alla gestione del territorio. L’autogestione da parte della comunità viene dunque proposta come prassi adeguata all’attuale contesto storico-sociale e condizione per un superamento possibile dei profondi disagi sistemici indotti dal capitalismo globale.
In questo non siamo certo né profetici né isolati. Il percorso umano e politico cui fa riferimento MBC, da un lato è la traduzione, sperimentale sul piano della prassi, degli esiti della riflessione promossa a partire dagli anni ‘90 da studiosi, intellettuali e giuristi, più di altri attenti alle asimmetrie e alle contraddizioni introdotte dal pensiero unico neo-liberista. Dall’altro, è seguito anche da una pluralità di realtà inscritte in un vasto fronte di opposizione radicale costituito da centri sociali, fabbriche recuperate, collettivi antagonisti, precariato organizzato e movimenti, come ATTAC che sta ospitando questo intervento. Il collegamento con tali realtà è in molti casi piuttosto sviluppato, come dimostra il progetto Spazio FuoriMercato che vede MBC e la rete di produttori agricoli Genuino Clandestino impegnati insieme alla fabbrica autogestita Ri-maflow nella costruzione di uno spazio di scambio “contro-parallelo” nel quale gli spezzoni di alternativa al sistema mercantilistico istituzionale possano connettersi e agire secondo logiche radicalmente diverse da quelle commerciali.
Tornando al tema che abbiamo qui privilegiato, è da rimarcare come il confronto con il piano fattuale abbia fatto emergere delle problematiche in parte ampiamente annunciate (ancorché non risolte) dal dibattito culturale generale. Le possiamo riassumere in una serie di domande che ci andiamo ponendo da qualche tempo, il cui parziale ed informale elenco può forse offrire un sintetico panorama degli argomenti di riflessione che stiamo portando avanti.
In termini generali, ad esempio, la comunità tradizionalmente legata a uno specifico territorio non corre il rischio di rappresentare un’entità astratta e idealizzata, nella quale si nascondono elementi di conservazione e di rafforzamento di identità etniche, sociali, culturali che sviluppano percorsi comunque escludenti? Soprattutto l’ambito urbano, con la sua popolazione interconnessa in una molteplicità di flussi (di servizi, di attività, di relazioni), non invita ad attribuire al concetto di comunità un’estensione e un’area di interrelazione maggiori? E gli appartenenti a una comunità così coinvolta in un tessuto ridondante di intrecci, possono essere esaurientemente definiti dalla classica, statica ed auto-consistente nozione liberale di “soggetto di diritto”, ossia come depositari individuali di diritti fondamentali tra i quali annoverare l’accesso ai beni comuni?
In termini più particolari, la pratica degli affidamenti parcellari seguìta a Mondeggi è in grado di interdire il riprodursi di dinamiche riassorbibili negli schemi istituzionali? Si dovrebbe invece puntare sull’autogestione comunitaria delle risorse, costruendo insieme agli strati sociali più svantaggiati soluzioni mirate a rispondere ai loro bisogni e alle loro richieste? Oppure quest’ultima ipotesi introduce fuori tempo massimo una prospettiva classista fin troppo ingenua? E infine, tra i due orientamenti esiste solo un rapporto di incompatibilità?
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 23 di Gennaio-Febbraio 2016 “Verso una Nuova Finanza Pubblica e Sociale: Comune per Comune, riprendiamo quel che ci appartiene!“.