La rivoluzione ecologica della società che vogliamo: le riflessioni dei gruppi di lavoro

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Marcia ora o nuota dopo

di Vittorio Lovera

La militanza di moltissimi degli attacchini ha attraversato i movimenti ambientalisti degli anni ’90. Ovvio che sul tema della riconversione ecologica della società,  Attac abbia dedicato molta auto-formazione (Università di Attac tematiche) e messo in cantiere innumerevoli pratiche.

Molti di noi hanno accompagnato il percorso di Rifiuti Zero, molte le battaglie contro inceneritori e no secco a qualsiasi nucleare, battaglie locali sulla terra dei fuochi. E poi “pensatori” della grande battaglia per la la tutela dell’acqua, il bene irrinunciabile dell’umanità, la regina delle battaglia ambientale, sulla quale si sono già espressi 27 milioni di cittadini italiani.

E  tra le azioni attacchine la costante attenzione e la diffusione alle buone pratiche , dalla finanza etica (Banca Etica, Caes, Mag), al consumo critico, dalla produzione biologica locale, ai Gruppi d’acquisto solidale, commercio equo & solidale, tra i fondatori di reti e distretti di economia solidale. Oggi siamo tra i firmatari della campagna Giudizio Universale. Ovvia di conseguenza una sensibilità fortissima su questo punto della nostra Università estiva.

Ecco, in ordine sparso, le molte riflessioni emerse dai gruppi di lavoro, dopo l’interessante intervento di Alice Dal Gobbo.

La riconversione ecologica e sociale è uno dei caposaldi ineludibili per impostare la società che vogliamo. Transizione ecologica passa dal fornire risposte sulle contraddizioni lavoro/ambiente : “Come? Cosa? Dove? Per chi produrre ?”

Una vera rivoluzione ecologica comporta il superamento del capitalismo, primo imputato della catastrofe del cambiamento climatico e assolutamente incapace – restando all’interno della sua logica estrattivista – di far fronte strutturalmente alla crisi ecologica.

I palliativi proposti dalla “green economy” rientrano tout court in questa visione liberista: la sostenibilità verde risponde infatti precipuamente agli interessi di accumulazione neoliberista e contrasta in modo inconciliabile con una riconversione ecologica della società.

Le politiche di contrasto (figlie dei deludenti trattati internazionali, Kyoto, Doha, Parigi, Katonwice) sono assolutamente insufficienti e tardive e si basano su compensazioni ecologiche, ingenerando un nuovo “mercato” quello dei diritti di emissione (Carbon Trading).

Il cambiamento climatico e il land grabbing, vero “neocolonialismo”, acuiscono fortemente le diseguaglianze e diventano due cardini delle migrazioni climatiche.

Una riconversione economica e sociale ha forti nessi con tutte le tematiche affrontate da Attac: finanziarizzazione dell’economia, annullamento del debito, pubblico/privato, Lavoro/salute, acqua/beni comuni, trattati commerciali, democrazia partecipativa, migrazioni

Friday For Future, Extinction Rebellion, Gilets Janunes rappresentano a, diverso titolo, percorsi fondamentali di attivazione e di visibilità ai temi ambientali.  Il coinvolgimento giovanile fornisce nuova spinta ai movimenti: fondamentale evitare le frammentazioni che hanno contraddistinto i movimenti ecologisti degli anni ’90. Necessario interfacciarsi, senza commettere forzature sul loro percorso rivendicativo.

La “Laudato sì” di Papa Francesco affronta radicalmente le contraddizioni ambientali portando stimoli forti al mondo cattolico e non solo, stimolo importante per tracciare le coordinate della Società che vogliamo.

Anche questa forte “precarizzazione ambientale “ crea malessere sociale e individua linee di fuga che dobbiamo saper intercettare a partire dai bisogni dei territori e da pratiche autentiche di democrazia dal basso: è proprio dal basso e dai territori che si delineano le coordinate della società che vogliamo.

Abbiamo, da anni, molte “buone pratiche”, esperienze concrete di economia tasformativa e di economia circolare. Dobbiamo saperle ampliare, rendere più incisive e praticabili, a partire da una narrazione più incisiva e da una logistica che consenta una fruizione migliore. Ma partiamo da base esperienziale eccellente.

Per ottenere la società che vogliamo, ottimo partire dalle nostre buone pratiche ma la riconversione ecologica e sociale, oltre ai “buoni” comportamenti individuali, deve contemplare un intervento del pubblico assolutamente diverso, convinto. Questo si può ottenere solo ampliando vertenzialità e conflittualità nei territori.

Il ruolo dello stato deve essere, sui temi posti, quello di trovare risorse, ad es. per una nuova mobilità collettiva e di riappropriarsi del suo ruolo di pianificatore . Dobbiamo recuperare il concetto di Diritto alla Mobilità, consentendo anche ai non abbienti di spostarsi tanto a livello locale quanto a livello nazionale.

La ricostruzione del Ponte Morandi a Genova rappresenta l’incapacità dello Stato e degli Enti locali di saper ridefinire  – a seguito di un dramma costato la vita a 43 esseri umani – un  modello di città ecologicamente e socialmente evoluta. Si è invece insistito sulla stessa area e sempre e solo sulla mobilità su gomma. E ora arriverà pure il progetto Gronda.

Nella società che vogliamo non deve esserci ulteriore uso del territorio. Questo richiede una capacità di ripensare urbanisticamente le città, ripensarle e “ristrutturarle” avvicinando i servizi ai cittadini, pensando le città a partire dalla fruibilità ed accessibilità e a partire dai soggetti più fragili (bambini, anziani, diversamente abili)

Nella società che vogliamo gli impianti devono essere tutti pubblici (tema rifiuti), il dimensionamento deve essere sempre ridotto (correndo il rischio di maggiori costi) per consentire la misurabilità della buona gestione e un reale coinvolgimento gestionale e di controllo della popolazione.

Occorre “fare” più che “dire”: partiamo dal basso e utilizziamo le esperienze ecologiche dei Comuni Virtuosi, per provare a proporle su scala più ampia.

Per iniziare a tracciare le caratteristiche della Società che vogliamo, una società democratica, pubblica, partecipata, ecologista occorre preventivamente rigenerare il desiderio di Noi come collettività, superando quarant’anni di individualismo competitivo.

E’ diseguaglianza anche impiegare 5 ore per andare da Bari a Bologna. No alle grandi opere inutili, sì a quegli interventi strutturali che garantiscano scambi gomma/ferro, una mobilità su ferro accessibile a tutte le tasche e che offra a tutti i cittadini le medesime opportunità di trasferimenti, celeri e soprattutto sicuri. In alcune tratte nazionali si viaggia ancora a binario unico. La società che vogliamo deve, oltre che contrastare i cambiamenti climatici, saper olisticamente intervenire sulla solitudine delle persone, sempre più presente nelle aree metropolitane ( vedi aumenti del disagio psichico, segnalato dalla relatrice, o al ritorno all’uso dell’eroina).  Serve quindi rilanciare le banche del tempo e un’economia di scambio. Come afferma Padre Zanotelli, tutte le scelte hanno una ricaduta, anche la spesa è un’azione politica. Occorre saper tornare a campagne di boicottaggio verso prodotti o scelte che non siano rispettose dell’ambiente. Potenziare il no-profit, superando la legge “renziana” che equipara il no-profit alle società di capitali.

La società che vogliamo la possiamo ottenere solo se manteniamo un approccio politico altamente conflittuale. I comportamenti dell’uomo sulla natura ci hanno condotto a questa situazione, ma il ruolo della Politica e degli amministratori è sempre stato ultra-complice.

Loro hanno rovinato i territori. La classe dirigente per una radicale riconversione ecologica deve essere adeguata, preparata, “politicamente schierata”, devono essere predisposti –territorialmente – investimenti drastici, con uso delle tecnologie più adeguate per risolvere le problematiche. La Riconversione ecologica e sociale della società deve essere armoniosa e olistica, deve essere Buen Vivir. Antropocene/Capitalocene : senz’altro dobbiamo riscontrare una profonda crisi cognitiva: molti cittadini disconoscono ancora adesso la gravità dell’attacco alla Natura, arrivata ad un punto di non ritorno. Dobbiamo saper essere altamente conflittuali con chi prende le decisioni ma al contempo dobbiamo saper adottare una narrazione puntuale e diffusa ma sempre positiva, per generare un consenso più diffuso e consapevole: Cultura / Natura. No alla pedagogia del catastrofismo. Serve la visione d’insieme, olistica, noi siamo filo d’erba, aria, acqua, terra fuoco. La società che vogliamo è possibile solo se sappiamo puntare sulle interrelazioni. Solo con reti, locali, nazionali, globali interconnesse possiamo muoverci su tutti quei nessi che sono stati individuati nella presentazione e che sono fondamentali per riuscire a creare i presupposti della società che vogliamo.

Occorre saper accorciare qualunque filiera nella società che desideriamo. L’agricoltura 4.0 favorisce le grandi concentrazioni. Noi dobbiamo spingere per trovare contributi a piccoli insediamenti biologici e occorre che le reti di economia solidale sappiamo celermente strutturare una logistica di supporto alla distribuzione di prodotti bio – locali: i “poveri” non possono spendere certe cifre per salvaguardare la loro salute e mangiano prodotti cinesi o da discount. La rivoluzione ecologica parte dalle comunità territoriali: se non interveniamo sul dissesto idrogeologico dei nostri territori, sempre più abbandonati, mettiamo solo delle toppe. Si deve intervenire preventivamente dal consolidamento delle aree boschive. Le piccole comunità, subiscono solo tagli dei trasferimenti, e devono gestire situazioni vaste e complesse sul loro territorio. Ricchi privati mettono a disposizione fondi, la politica locale propone detassazioni se cittadini volontari bonificano aree pubbliche. Sono politiche di sinistra ? sono accettabili ? e quando ci chiederanno aree per 5 G ?

La “zuppa” di plastica che galleggia sugli Oceani è quattro volte la Francia. Quanto occorre per vietare la plastica, a partire da quella non basilare? Proibire gli imballaggi e favorire lo sfuso?

Vogliamo proibire pesticidi e glisolfato? Quanto tempo occorre per imporre che i servizi di trasporto pubblico siano tutti elettrificati?  Invece di fare questo, segnale forte da parte delle nazioni, si punta solo a colpevolizzare i comportamenti individuali.

La transizione ecologica necessita che le reti di movimento sappiano coordinarsi a livello globale per fare  pressioni forti e che sappiano blandire la trasformazione del capitalismo in Green Capitalism. Noi lottiamo duro ma spesso sono loro che sanno trasformare e veicolare i problemi in profitti.

Riprendo uno spunto della premessa: occorre invertire la trasformazione di tempo e spazio innescata dal modello neoliberale. E’ Centrale.  Riappropriarsi dei territori, superare aberrazioni e precarizzazioni della metropoli con ritorno alla ruralità, all’autogoverno delle produzioni locali.  Liberazione del tempo fuori da logiche semplicemente legate al lavoro salariato. Se vogliamo una società nuova, un altro mondo possibile, occorre sparigliare completamente il paradigma dominante. Altrimenti, imiteremo la green economy, cambieremo alcune regole ma non ci libereremo dai vincoli del capitalismo.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 41 di Settembre – Ottobre 2019. “La società che vogliamo

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