di Federico Bonollo
Comitato Più Democrazia Venezia
IL SIGNIFICATO DEI TERMINI
La prima cosa da fare, quando si inizia un discorso, è mettersi d’accordo sul significato dei termini. Spesso le parole hanno più di un significato, se usate in senso lato o in senso stretto, altre volte vengono usate in maniera inappropriata, per malafede o ignoranza. Ecco i significati delle parole che userò in questo scritto:
Democrazia diretta: si ha quando lo strumento è attivabile dai cittadini ed il risultato è un voto oppure una decisione vincolante. (Ad esempio le proposte di legge popolare oppure i referendum propositivi.)
Democrazia partecipativa: avviene con l’uso degli strumenti utili a raccogliere pareri e opinioni, stimolando la collaborazione tra cittadini e rappresentanti, oppure il cui risultato sia una decisione ma che è promossa dai politici. (Ad esempio il bilancio partecipato oppure il referendum consultivo).
Democrazia: Struttura ideale di governo di una società che si fonda sul principio della sovranità popolare, sulla garanzia delle libertà e su di una concezione egualitaria dei diritti civili, politici e sociali dei cittadini.
Come potete notare, la discriminante è la facoltà o meno, da parte dei cittadini, di attivare lo strumento e di giungere ad una votazione.
PERCHÈ PARLIAMO DI PIÙ DEMOCRAZIA
Il concetto di democrazia si basa sul bilanciamento dei poteri che, mentre a livello istituzionale viene garantito dalla divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, tra eletti ed elettori viene garantito dalla qualità degli strumenti di democrazia diretta a disposizione dei cittadini; avendo migliori e più efficienti strumenti corrispondono ad una maggiore incisività e controllo sulle scelte dei politici e, quindi, avremo “Più Democrazia”!
Quando parliamo di migliorare la democrazia diretta, gli aspetti più importanti sono due.
1) strumenti forti o deboli: avere i referendum propositivi piuttosto che quelli consultivi, avere molte materie referendabili oppure la possibilità di far votare al consiglio comunale una proposta di delibera piuttosto che ricevere una semplice risposta dal Sindaco.
2) regolamenti snelli ed efficaci: quanto tempo abbiamo a disposizione per raccogliere le firme? serve o meno l’autentica delle firme? ci sono sale pubbliche a poco costo a disposizione del comitato? vi è obbligo di fare il libretto informativo referendario con le posizioni dei comitati sì/no, oppure che questi ultimi debbano rendicontare tutte le spese sostenute?
Questi due punti sopra riportati sono le basi imprescindibili per avere strumenti di democrazia diretta efficienti e di qualità.
LA STORIA DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA IN ITALIA DAL DOPOGUERRA
A LIVELLO NAZIONALE
In Italia si parte dalla Costituzione: quando fu approvata, venne prevista la possibilità, da parte dei cittadini, di utilizzare cinque strumenti: la petizione (Art.50 Cost.), la proposta di legge popolare (Art. 71 Cost.), il referendum abrogativo (articolo 75 Cost.), il referendum confermativo delle modifiche alla costituzione stessa (art. 138 Cost.) ed il referendum sulle fusioni/unioni dei comuni. (art. 132 Cost.)
Per renderli però fruibili, il parlamento avrebbe dovuto redigere una legge attuativa: questa venne scritta solo nel 1970, ossia la bellezza di 23 anni dopo. Questo modo di gestire la “cosa pubblica” lo troveremo anche in seguito, quando una legge del 1990 obbligherà i comuni a prevedere referendum anche a livello locale.
Ad oggi, tralasciando i referendum sulle fusioni/unioni dei comuni, i problemi principali sono questi:
1) le petizioni possono essere portate da una sola persona, ma non esiste obbligo di risposta.
2) per le proposte di legge servono 50.000 firme autenticate, ma anche qui manca l’obbligo di discussione in commissione/parlamento (ed infatti il 53% di queste giace in un cassetto, e solo 3 sono state approvate)
3) i referendum abrogativi si sono dimostrati per quello che sono, ossia strumenti obsoleti ed inefficaci:
– non vi è certezza del risultato e lascia sostanzialmente in mano al potere centrale la possibilità di decidere. Inoltre il risultato “scade” dopo qualche anno e quindi ecco il motivo dei due referendum sul nucleare.
– il quorum al 50% degli aventi diritto è uno strumento antidemocratico e che la maggioranza dei cittadini ritiene sbagliato.
– la legge 352/1970, che spiega come si devono raccogliere e presentare le firme, è un concentrato di burocrazia ed ostacoli all’utilizzo.
A LIVELLO COMUNALE:
Si inizia a parlare di democrazia partecipativa/diretta nei comuni a partire dal 1990, quindi 43 anni dopo l’approvazione della costituzione, ma è solo con il TUEL nel 2000 che il legislatore pone l’obbligo per i comuni di dotarsi di strumenti di partecipazione: per la precisione, lo Statuto Comunale deve prevedere la possibilità per i cittadini di portare istanza, petizioni, proposte con l’obbligo di risposta da parte del comune entro tempi certi, mentre i referendum (di qualsiasi tipo) solo in modo facoltativo.
Purtroppo chi ha scritto la legge non ha previsto penali o conseguenze per chi non avesse rispettato questa norma, ed infatti ancora oggi, dopo 17 anni, numerosi comuni in tutta Italia non hanno ancora adempiuto a questo obbligo. Denunce al difensore civico, interrogazioni parlamentari, proteste in consiglio comunale: nulla è servito a smuovere i detentori del potere politico, sicuri di rimanere impuniti da una legge incompleta. Molte volte ho pensato che fosse semplice incapacità, mentre alla fine ho scoperto che quasi sempre era lucida e precisa volontà di non intaccare il proprio potere.
ESEMPI POSITIVI
Per fortuna, negli ultimi anni la possibilità di accedere ad internet ho portato tanti cittadini a prendere coscienza dei propri diritti, e di conseguenza a pretendere di vederli riconosciuti.
Ad esempio nella provincia di Venezia, dove il nostro comitato ha lavorato negli ultimi 7 anni, siamo riusciti a portare a casa dei risultati incredibili: cinque comuni hanno scritto o migliorato il regolamento sulla partecipazione, e addirittura in tre di questi è stato inserito il “quorum zero” nei referendum, passati da consultivi a propositivi, così come alcune piccole città sparse per l’Italia che, grazie ad amministratori illuminati, hanno finalmente cambiato in meglio la situazione. Tra le grandi città Milano ha inserito nel 2014 i referendum propositivi vincolanti nel proprio statuto, con quorum al 50% dei votanti alle ultime votazioni.
Nel 2012 ad esempio è stata portata, per la prima volta in Italia, una proposta di legge nazionale su questa materia attraverso il comitato nazionale “quorum zero più democrazia”.
In giro per l’Italia ha poi preso piede l’utilizzo del “bilancio partecipativo”, ossia la possibilità dei cittadini di decidere su quali progetti destinare una parte del bilancio comunale. Milano, Parma, Mira, Capannori sono degli esempi lungimiranti di chi sta tentando di coinvolgere i cittadini nella gestione della cosa pubblica.
Parlando di Regioni i migliori esempi vengono dai comitati dell’Alto Adige e del Trentino che, attraverso l’uso di referendum e proposte di legge, stanno cercando di rendere fruibili questi strumenti; le resistenze della politica, però, sono state enormi. Per chi volesse avere più informazioni www.piudemocraziaintrentino.org
Segnaliamo poi le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna che hanno redatto una apposita legge con dei fondi dedicati ai comuni per progetti partecipativi, oltre che ad avere costruito un portale online a disposizione dell’utenza, oppure la Regione Sicilia che ha previsto, in una legge del 2014, quanto segue: “la quota del 2% delle somme trasferite dalla Regione Siciliana a questo Ente dovrà essere spesa con forme di “democrazia partecipata utilizzando strumenti che coinvolgono la cittadinanza per la scelta di azioni di interesse comune”
ESEMPI NEGATIVI
1) la legislazione italiana: tra leggi che si sovrappongono e difficoltà di far valere le proprie ragioni, spesso l’utilizzo della democrazia diretta diventa impossibile
2) la mancanza di un serio insegnamento dell’educazione civica a scuola
3) statuti e regolamenti scritti in maniera troppo restrittiva: troppe volte tra la materie non referendabili vengono inseriti proprio quelle più importanti, ossia che riguardano l’urbanistica.
CONCLUSIONI
La politica, dal dopoguerra in poi, ha sempre cercato di osteggiare l’utilizzo di strumenti di partecipazione efficaci ed incisivi. Proprio questa mancanza di controllo sull’operato degli eletti ha permesso a loro di vivere in questa impunità, lasciandoci solo la possibilità di “votare ogni 5 anni per cambiare”. Negli ultimi anni però c’è stata una presa di coscienza collettiva su questo aspetto della politica ed in tutta Italia numerosi comitati, sorti proprio per chiedere più democrazia, stanno riuscendo un po’ alla volta a portare informazione tra i cittadini ed i politici.
Il consiglio che posso dare a tutti quelli che vogliono migliorare la situazione è di fare queste due semplici mosse:
1) chiedere alle proprie amministrazioni, attraverso una petizione e/o proposta di delibera, di revisionare ed aggiornare gli strumenti di partecipazione popolare del proprio comune
2) organizzare un’assemblea pubblica con un esperto che spieghi quanto ho scritto sopra.
Nella maggior parte dei casi riuscirete a portare a casa dei risultati perchè la democrazia non si insegna, si fa!
Per chi volesse maggiori informazioni, segnalo alcuni libri da scaricare gratuitamente online:
“democrazia dei cittadini” e “Più democrazia nei comuni”, entrambi scaricabili sul sito www.paolomichelotto.it
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 28 di Marzo-Aprile 2017: “Dov’è finita la democrazia?”