di Marco Bersani
FSM DI PORTO ALEGRE 2005
Sarà forse per il quasi totale oscuramento dei media, tornati a decantare il WEF di Davos come il “luogo” per eccellenza della discussione dei problemi mondiali; o forse per l’atavico provincialismo della politica italiana, incapace di guardare oltre la prossima scadenza elettorale; o, ancora, perché in troppi hanno interiorizzato l’idea che i movimenti, in quanto ciclici, sono destinati “per natura” ad affievolirsi. Resta il fatto che la percezione che si ha, una volta tornati in Italia, di quello che sia stato il V Forum Sociale Mondiale a Porto Alegre sembra estremamente riduttiva. Senza nessuna pretesa di esaustività – il Forum si attraversa con un’immersione, non lo si può capire da distanza – proverò quindi a proporre alcune riflessioni. Sperando ovviamente di suscitarne altre.
DIAMO I NUMERI, TANTO PER COMINCIARE
Con una manifestazione d’apertura il 26 gennaio alla quale hanno partecipato 200.000 persone, il FSM ha visto la presenza di 155.000 partecipanti provenienti da 135 Paesi, che hanno dato vita, grazie anche al lavoro di 2.800 volontari, a 2.500 attività seminariali in quattro giorni, da cui sono scaturite 352 proposte conclusive di iniziativa e mobilitazione.Già questi numeri, superiori a quelli di qualsiasi edizione precedente, segnalano come la capacità di allargamento e di estensione della partecipazione del FSM non ha esaurito la sua spinta propulsiva: il FSM continua ad essere un polo di attrazione, di confronto e di costruzione di percorsi di lotta.Meno numerosa delle altre volte era invece la delegazione italiana, composta da circa 400 persone; per la prima volta non era più la seconda delegazione per numero di presenze, felicemente superata da altre delegazioni che, al contrario, hanno moltiplicato la propria partecipazione. E, finalmente, con numeri importanti tanto dal continente asiatico che da quello africano.
DOPO MUMBAY, CON LO SPIRITO DI MUMBAY
Non era certo facile immaginarsi il Forum di Porto Alegre 2005, dopo la salutare e per certi versi sorprendente esperienza del FSM 2004 in India. Si è preso contatto, a Mumbay, con l’enorme forza di popolo dei movimenti asiatici, rispetto ai quali gli appuntamenti precedenti di Porto Alegre erano apparsi come il luogo di incontro della cosiddetta “classe media” del movimento : forte presenza europea e latinoamericana, elevatissima percentuale di laureati, grande spazio alle “sfilate” degli intellettuali di movimento, forte presenza di movimenti giovanili (in Asia i “giovani” in quanto tali non esistono, sono sin da bambini dei piccoli adulti costretti)..Avrebbe saputo il quinto FSM tornare a Porto Alegre, ma non tornare indietro? Questa era la domanda principe, alla quale se ne collegavano altre legate all’esperienza dei movimenti di questi anni: come riuscire a coniugare la grande esperienza di “università popolare di massa”, ovvero di luogo di incontro e confronto, con la netta esigenza di approfondire le lotte e le mobilitazioni di massa? L’altro mondo può solo essere possibile e necessario o DEVE essere finalmente costruito, confrontandosi con il problema dell’efficacia non solo culturale dei movimenti?Queste erano le domande alla partenza del quinto FSM e, ai blocchi di partenza, con un’unica certezza : comunque avremmo incontrato la parte migliore del mondo, i suoi colori, le sue speranze.Non è poco, abituati a dover considerare importanti le dichiarazioni di un rutelli qualsiasi.
UNA SCOMMESSA RIUSCITA
Proprio per rispondere alle domande di cui sopra, il FSM di quest’anno ha mutato volto. A cominciare dall’aspetto logistico: fuori dall’accoglientissima Università Cattolica e dentro un gigantesco accampamento di tendoni immersi nella città, con il campeggio dei giovani -tanti, tantissimi- finalmente nel cuore del FSM invece che ai margini, e con anche, per la prima volta, la presenza dell’accampamento indigeno. Certo, tutto questo ha voluto dire maratone di resistenza sotto tendoni dal caldo soffocante, disperate ricerche di traduttori e distribuzione delle sale inversamente proporzionali alla capienza riscontrata. Ma ha anche voluto dire una moltiplicazione di incontri fra persone, comunità e culture.Ma il volto diverso del FSM è stato soprattutto nella organizzazione dei suoi lavori : fine delle plenarie, divisione dei temi in undici differenti spazi tematici, attività solo seminariali e di incontro tra le reti e le esperienze, e richiesta ad ogni rete seminariale di produrre proposte di iniziativa e campagne di mobilitazione.
MUTA IL RUOLO DELL’ASSEMBLEA DEI MOVIMENTI SOCIALI
Anche l’assemblea dei movimenti sociali ha dovuto salutarmente confrontarsi con il mutato volto del Forum. Fino all’anno scorso, la divisione dei ruoli era netta e, sotto certi aspetti, artificiale : da un lato il Forum delle plenarie, dei seminari e dei workshop dove si discuteva; dall’altro lo spazio dei movimenti sociali dove si costruiva l’agenda delle azioni. Spesso con nessuna comunicazione tra i due ambiti e con una certa “specializzazione” da parte dei leader di movimento, portati inevitabilmente a pensarsi come una sorta di -illusorio- “comitato centrale”.Ma se un Forum si organizza per temi su cui le reti si incontrano tra loro e costruiscono le campagne d’azione, quale diventa il ruolo dell’assemblea dei movimenti sociali? E’ stata questa la domanda che ha attraversato le riunioni -spesso accese- dentro i movimenti sociali. Alla fine -permettiamoci, quando meritati, qualche complimento alla delegazione italiana- ha prevalso la giusta idea che l’assemblea dei movimenti sociali avrebbe dovuto raccogliere, in maniera partecipata, quanto le diverse reti stavano producendo nei seminari tematici e costruire l’appello finale attraverso una consapevole e collettiva discussione sulla scala di priorità da assegnare a ciascuna proposta di mobilitazione.
LIMITI DELLA SPERIMENTAZIONE
Il cambiamento del Forum, frutto di un’importante intuizione del Consiglio Internazionale del FSM, si è ovviamente dovuto confrontare con i limiti della sperimentazione. E così, la cosiddetta “agglutinazione” fra seminari sullo stesso tema è stata lasciata quasi solo nelle mani delle singole reti, registrando ancora una sovrapposizione di temi che invece avrebbero potuto utilmente incrociarsi fra loro. E così, anche la gigantesca produzione di proposte è stata elencata e giustapposta in un sito, senza tutta via produrre sintesi più avanzate.Ma molti passi indicano che la direzione del percorso è quella giusta. Un esempio per tutti : più di settanta reti internazionali che si battono sull’annullamento del debito hanno prodotto, per la prima volta, un lavoro comune; e non a caso, la questione del debito è divenuta la prima campagna anche dell’appello finale dei movimenti sociali.
IL FUTURO DEL FORUM
Il Forum Sociale Mondiale da ora in avanti avrà cadenza biennale e, fatto importantissimo, nel 2007 approderà nel continente africano, quasi sicuramente in Kenia. Una scelta importante, sia in ordine all’allargamento dell’azione dei movimenti, sia per le potenziali novità che il continente africano può portare all’azione planetaria dei movimenti.Che ci fosse l’esigenza di ridurre quantitativamente i Forum, arrivando a scadenze biennali sia per il forum mondiale sia per quelli continentali, era chiaro da tempo. Come spesso ripete Joao Pedro Stedile dei Sem Terra : “Ogni sei mesi ci troviamo in qualche forum a discutere delle lotte. Ma se continuiamo a fare i forum, quando facciamo le lotte?”.Proprio per questo risulta totalmente incomprensibile la scelta del Consiglio Internazionale del FSM di convocare per il 2006 diversi appuntamenti (Venezuela, Marocco, India, Canada) denominandoli Forum Sociali Mondiali decentralizzati (!?). Una contraddizione di termini che denuncia l’assurdità della proposta : il forum sociale mondiale o è mondiale o non è; una cosa è convocare forum regionali o continentali, o ancora forum mondiali tematici; altra è moltiplicare gli appuntamenti senza un percorso che li renda collegati.
E C’E’ CHI E’ RIMASTO AL PASSATO
Qualcosa infine tocca dire -se non altro per la copertura di stampa che ha avuto- sulla “strana” conferenza stampa, improvvisamente convocata per lanciare da parte di 19 “guru” del movimento(in prima fila Bernard Cassen e Ignacio Ramonet, ben piazzati Riccardo Petrella, Adolfo Perez De Esquivel, Amanita Traorè e François Houtart) il cosiddetto “Manifesto di Porto Alegre”. Un’operazione penosissima, la cui unica spiegazione rimanda ad una auto- riaffermazione di ruolo da parte di importantissimi intellettuali, forse poco consapevoli di quanti passi in avanti abbia fatto il movimento. Sembrava un triste “deja vù”, con dodici proposte, molto arretrate dal punto di vista politico (una tassa sul commercio di armi ?!?), lanciate come se dovessero divenire la nuova “bibbia” dei movimenti. Sarebbe stato, per loro e per tutti noi, molto meglio se avessero attraversato il Forum e i suoi seminari e se alla fine avessero convocato i giornalisti semplicemente per dire :”Questo è il movimento. Noi siamo con loro”.
E POI..
Le canzoni dei piqueteros, le feste permanenti alla tenda cubano-venezuelana, quattrocento persone di paesi differenti che piantano altrettante piante nel Bosco della Solidarietà dei Sem Terra, il menino de rua Joao che, ricevuto un real, fa il giro dell’isolato per rincontrarti e solo salutarti, i dalit indiani che hanno attraversato il mondo, la rabbia della donna nicaraguense contro la multinazionale dell’acqua Suez, i coreani che cantano “bella ciao” comprese le strofe..e migliaia di altre e di altri, con i volti e i colori del mondo… Cos’ha dichiarato rutelli?