Gli effetti (devastanti) del decreto sicurezza: un primo bilancio

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di NAGA*

A 7 mesi dall’entrata in vigore del “decreto sicurezza” i numeri danno un’immagine del nuovo concetto di “accoglienza e integrazione”.

Fra i dati diffusi dal Viminale, contestualmente al crollo della protezione umanitaria, c’è l’aumento dei dinieghi, passati dal 57% (dati di un anno fa) all’attuale 78%, anche questo conseguenza delle modifiche apportate dalla legge. Restano invece stabili le concessioni per lo status di rifugiato (dall’8% al 9% del totale) e quelle per la protezione sussidiaria, altra forma di protezione non toccata dalla nuova legge (dal 5% al 6%).

Con l’abolizione della protezione umanitaria, a far data dal 5 ottobre 2018, le Commissioni Territoriali hanno continuato a stringere ulteriormente sulle concessioni, di fatto azzerandole, dando seguito a un comportamento già anticipato dalla direttiva del Ministero degli Interni del luglio 2018. 

A dicembre 2018 solo il 3% dei richiedenti asilo ha ottenuto la protezione umanitaria, e il 2% nel mese di gennaio 2019 contro il 21% dell’anno 2018.

Recenti sentenze hanno ribadito che la protezione umanitaria è tuttavia attribuibile a chi abbia fatto richiesta di protezione prima dell’entrata in vigore del decreto, che non ha valore retroattivo: vedremo nei prossimi mesi se questa tendenza si invertirà.

A questo si aggiunge la privazione di qualsiasi tipo di accoglienza per coloro che, già in possesso di un regolare permesso umanitario, stavano seguendo un percorso di accompagnamento all’interno dei centri.

Fuori dagli SPRAR, ma anche fuori dai CAS e dai CARA: così i Prefetti di tutta Italia hanno comunicato ai gestori di questi centri. Secondo una stima delle associazioni di settore in 40 mila saranno destinati a tornare sulle strade allo sbando e in condizioni disumane. A dicembre, nella sola città di Milano, sono stati 240 i rifugiati (compresi donne e bambini) espulsi dai centri.

E l’effetto “sicurezza” continua con la pubblicazione dei nuovi bandi per l’accoglienza alla luce delle nuove norme che prevedono un drastico taglio dei fondi (da 35 euro a 21-26 euro per ogni migrante). Niente lezioni d’italiano, niente possibilità di formazione, anche quella mirata all’inserimento lavorativo, niente mediazione culturale o assistenza legale, ma solo vitto e alloggio.

Il taglio di queste risorse di fatto ha escluso la partecipazione delle realtà più piccole e locali aprendo le porte alle multinazionali dell’accoglienza che possono contare su economie di scala e orientate al business piuttosto che all’integrazione dei migranti.

Non fa eccezione la situazione del territorio milanese. Molti gestori dei centri d’accoglienza per i migranti, di fronte ai tagli dei fondi imposti, non hanno partecipato ai bandi. E la Prefettura di Milano, che in questi giorni sta valutando le offerte arrivate (senza entrare nel merito dei requisiti dei soggetti aderenti) ha verificato che su 2.900 posti letto richiesti sono arrivate proposte solo per 2.200. Quindi 700 in meno.

Ma l’effetto valanga non risparmia i lavoratori dei servizi di accoglienza, al cui interno si stimano fino a 18.000 esuberi. Migliaia di giovani e qualificati operatori, tutti professionisti che ricoprono figure diversificate: educatori, psicologi, mediatori culturali, operatori legali docenti, assistenti sociali.

Questo è lo scenario che abbiamo di fronte.

I sistemi di accoglienza integrata fino a oggi non si sono occupati solo del sostegno fisico delle persone immigrate, ma hanno promosso percorsi di informazione, assistenza e orientamento, necessari a favorire un dignitoso inserimento socio-economico.

Precludere queste opportunità vuol dire cancellare ogni possibilità di dare dignità alle persone sostenendo il loro legittimo diritto ad aspirare ad una vita migliore e alla salute che, come sancito dall’Oms, “è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo l’assenza di malattia o infermità”.

Infatti, nel 2019 il sistema di accoglienza italiano è stato completamente stravolto dalla legge 132 (meglio nota come legge Salvini o decreto Salvini) e dall’applicazione del nuovo schema di capitolato per le gare d’appalto per vari i centri destinati a gestire la prima e primissima accoglienza.

Dopo l’apertura delle buste per i nuovi bandi si è constatato che in molte prefetture non sono stati coperti centinaia dei posti messi a gara: a Milano, ad esempio, ne mancano 700.

Un esito facilmente prevedibile e ampiamente pronosticato da chi aveva letto con preoccupazione i due testi. Non era difficile capire che le nuove disposizioni, stabilendo la riduzione all’osso del costo giornaliero rimborsato dal Ministero dell’Interno per ciascun ospite, avrebbero indotto molti enti gestori a disertare le gare.

Soprattutto quelle per i centri di dimensioni non superiori ai 50 posti, ovvero le realtà dove esistono maggiori condizioni per costruire dei percorsi di autonomia per i richiedenti asilo ospitati. Le stesse dove manca la possibilità, applicando economie di scala, di ottenere margini di profitto e che risultano, di conseguenza, poco appetibili per chi, avendo fatto affari sull’accoglienza negli anni scorsi, continuerà a farli nei prossimi. L’abbattimento dei costi per l’erario, infatti, è ottenuto attraverso la riduzione delle dotazioni minime di personale. Una spesa sulla quale non si può risparmiare e, dunque, al momento di decidere se partecipare o meno alla gara, risulta poco significativa per chi, come primo obiettivo, ha quello di guadagnare.

Ricapitoliamo gli effetti, ormai realizzati e non più solo temuti, della stretta che avrebbe dovuto combattere il business dell’accoglienza: meno posti nei centri piccoli; nessuna riduzione dei margini di profitto per gli affaristi; il licenziamento di parecchie migliaia di operatori che, giovani e qualificati, assicuravano servizi professionali connessi ai diritti e alla possibilità dei richiedenti asilo di diventare soggetti attivi della società.

Richiedenti che, con le nuove norme, vengono ridotti a esseri solo bisognosi di vitto e alloggio da rinchiudere e contenere il più possibile in grandi centri sempre più simili a strutture concentrazionarie. 

* Il Naga è un’associazione di volontariato laica, indipendente e apartitica nata a Milano nel 1987. Il Naga è una onlus iscritta ai registri del volontariato. Ogni giorno i 400 volontari del Naga forniscono assistenza sanitaria, sociale e legale ai cittadini stranieri e si impegnano per la difesa dei diritti di tutti. L’articolo è tratto da Fuorivista 2019 – n 7 “Che cosa è rimasto dell’accoglienza?”, pubblicato su www.naga.it.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 40 di Maggio – Giugno 2019. “Una città per tutti