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di Marco Bersani, Attac Italia

Cosa hanno in comune la vicenda dell’ex-Gkn di Campi Bisenzio e quella della Beko di Siena?
Entrambe sono aziende toscane finite nella morsa della crisi, all’interno della quale le motivazioni legate alla speculazione finanziaria e alla ricerca dei profitti con le delocalizzazioni si sovrappongono alle difficoltà produttive reali. Ed entrambe scontano una strutturale assenza di una politica industriale pubblica dotata di strategia.
Molto diverse sono invece le strade intraprese dalla lotta operaia nelle due diverse aziende. Naturalmente, le condizioni di ogni vertenza non sono quasi mai paragonabili, né si può imputare a nessun gruppo di lavoratrici e lavoratori la capacità o meno di essere in campo con efficacia e lungimiranza. Qui si vuole solo sottolineare le diverse e antagoniste visioni della società che emergono dalla diversa gestione delle due vertenze operaie.
All’ex-Gkn si è reagito ai tentativi di chiusura della fabbrica con un’occupazione dal basso che ha superato i quattro anni, che ha coinvolto tanto la comunità territoriale quanto la comunità fiorentina, che ha fatto del diritto al lavoro una leva importante per ragionare anche su quale lavoro, provando a reinventarsi un progetto di industrializzazione che agisse concretamente all’interno della conversione ecologica: è cosi che da una produzione -i semiassi- strettamente legata alla filiera dell’automotive, il collettivo di fabbrica ex-Gkn ha prodotto un progetto di reindustrializzazione legato alle cargo-bike e ai pannelli fotovoltaici.
Un progetto che ha coinvolto i saperi universitari, gli enti locali e una marea di soggettività, convolte nella costituzione di una Soms (Società operaia di mutuo soccorso) a sostegno del progetto, sino alla nascita con il coinvolgimento della Regione Toscana di un consorzio pubblico a sostegno della reindustrializzazione del sito.
Un progetto apertamente osteggiato dal governo, che non ha mai agito per favorirlo, e poco più che “tollerato” dai vertici sindacali, che, anche quando non hanno fatto mancare il sostegno, lo hanno comunque attuato con una sorta di diffidenza verso questo protagonismo operaio e sociale.
Alla Beko si è reagito ai tentativi di chiusura della fabbrica con scioperi e mobilitazioni sindacali, utilizzando per cosi dire un copione tradizionale: piena fiducia ai vertici sindacali, apertura di tavoli fra questi e il governo, richiesta al governo di intervenire.
Questa volta il governo non solo non ha ostacolato la vertenza, ma si è fatto parte attiva per la sua risoluzione, che sembra prevedere l’interesse di Leonardo Spa -industria pubblica degli armamenti- all’acquisizione del sito produttivo. Se la vicenda va in porto, le lavoratrici e i lavoratori si troveranno a passare dalla produzione di congelatori alla produzione di armi.
Il risultato di questi due percorsi è importante: se alla Beko si va verso una risoluzione che, per quanto eticamente e politicamente inaccettabile, garantirà il posto di lavoro alle lavoratrici e ai lavoratori, la vicenda ex Gkn rischia di essere fatta morire – “non reggeremo il quinto inverno” si paventa ai cancelli della fabbrica- per consapevole inazione dei poteri pubblici che dovrebbero fare la loro parte.
E’ evidente come, dietro alle due vicende, ci sia una partita politica non secondaria: si vuole la sconfitta della vertenza operaia ex-Gkn, che, in caso di vittoria, diventerebbe un ingombrante precedente a cui potrebbero riferirsi decine di situazioni industriali analoghe e nel contempo si vuole dire a lavoratrici/ lavoratori e alla società tutta chel’unica possibilità è salire sul treno della guerra e del riarmo, nei vagoni del quale un salario non verrà negato a nessuno.
D’altronde, è la stessa Unione europea ad aver abbandonato il pur criticabile Green New Deal con la motivazione -tra le altre- che, essendo il fotovoltaico ormai stretto appannaggio della produzione cinese, l’unica strada possibile per il continente sia l’economia di guerra.
Due riflessioni finali.
La prima è che la strada per un diverso futuro passa non solo per la discesa dal treno del riarmo, bensì dalla strenua opposizione allo stesso: senza ciò, forze politiche, enti locali e soprattutto sindacati si troveranno a fare i salti mortali tra dichiarazioni generaliste contro la guerra e pratiche concrete di adesione alla conversione bellica dei luoghi produttivi.
La seconda è che proprio per l’intrinseca politicità della vertenza, tutte le realtà sociali, politiche e di movimento dovrebbero moltiplicare il sostegno concreto alla lotta dell’ex-Gkn, sia per garantire reddito e dignità a chi da quattro anni occupa una fabbrica e da oltre un anno e mezzo è privo di stipendio, sia perché è da faglie come quella aperta nella fabbrica di Campi Bisenzio che si può intravedere un’alternativa di società.


