di Marco Bersani
Qualche scricchiolio si era già sentito a fine 2007, ma fu nel marzo 2008 che Bear Stearn, una delle “big five”, le cinque banche più grandi degli Usa, dichiarò fallimento, in seguito all’esplosione della bolla immobiliare legata ai mutui subprime.
Nei mesi successivi, toccò a Fannie Mae e Freddie Mac, e mentre in Europa il governo inglese era costretto a nazionalizzare Northern Rock, a settembre crollò Lehman Brothers, dando il fischio ufficiale d’inizio alla grande crisi, che dagli Usa è rimbalzata in tutto il pianeta, investendo in particolar modo il continente europeo.
Naturalmente, è difficile astrarre un periodo dal contesto processuale che lo determina e senz’altro possiamo affermare come nel 2008 giungano al pettine i nodi di una crisi che ha le proprie radici addiritttura negli anni ’70 del secolo scorso, quando si afferma la dottrina liberista e i processi di finanziarizzazione dell’economia divengono progressivamente la cifra della società capitalistica contemporanea.
E’ una crisi profonda, più strutturale che ciclica, tant’è che le politiche di risposta messe in campo dall’establishment economico-finanziario e dall’elite politiche non comportano, forse per la prima volta, alcuna discontinuità, bensì la spinta ad un ulteriore approfondimento delle stesse.
Ciò che cambia davvero in questi dieci anni sono le condizioni di vita delle popolazioni, con un accentramento della ricchezza e una diseguaglianza sociale che non ha precedenti. E mentre la contraddizione ecologica assume i connotati di una drammatica realtà con cui fare i conti per i prossimi decenni, la vita delle persone si va sempre più configurando all’insegna della precarietà: del lavoro, della coesione sociale, del futuro individuale e collettivo.
Muta profondamente anche il segno della democrazia, con i diritti trasformati in variabili dipendenti dai profitti e le istituzioni in sedi di ratifica di decisioni prese in luoghi “altri” dalle stesse.
Si afferma la teologia dei mercati, entità impersonali che dominano e determinano la vita delle persone e della società, mentre lo shock del debito diviene l’indiscussa narrazione dominante. E, come finta risposta alla stessa, si affermano sovranismi nazionalistici, che fanno del razzismo la propria cifra identitaria.
Siamo dunque costretti dentro un percorso immodificabile e dentro un orizzonte di rassegnazione sociale?
Noi crediamo di no e pensiamo che un’analisi approfondita di questo ultimo decennio possa contribuire a costruire una narrazione differente, sia sulle cause che hanno prodotto la crisi, sia soprattutto sulle possibili risposte da dare alla stessa.
E’ su queste motivazioni che abbiamo organizzato la riuscitissima Università estiva di Attac Italia “Crisi: 10 anni bastano”, lo scorso settembre a Cecina Mare (LI) e che ora proviamo a riproporvi, attraverso i contributi che leggerete su questo numero del Granello
Sapendo quanto ancora sia lungo il percorso, ma avendo deciso di iniziare a camminare.
Buona lettura!
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 36 di Settembre – Ottobre 2018: “Crisi: 10 anni bastano“