Dove va la gestione del servizio idrico?

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 di Remo Valsecchi

Nessuno degli obiettivi di riorganizzazione e razionalizzazione della gestione del servizio idrico, previsti dalla Legge Galli, è stato realizzato. 244 gestori, 1610 Comuni (1/5 dei Comuni italiani) con gestione in economia, una media nazionale di 2,77 gestori per singolo ambito territoriale con punte di 4,67 in Lombardia, o 6,67 in Piemonte – due regioni simbolo dell’efficienza globale, sono la fotografia del risultato.

La legge Galli ha trovato i suoi avversari proprio nelle Istituzioni locali che avrebbero dovuto applicarla. La trasformazione delle vecchie “municipalizzate” in società di capitale, società di diritto privato, è la causa principale. L’attribuzione della “rilevanza economica” alla gestione del servizio che, proprio per la sua natura, non può esserlo, l’unica economicità possibile è il contenimento del costo per l’utente, ha completato l’opera.

I Sindaci hanno visto nelle società non lo strumento per l’erogazione ed il miglioramento del servizio ma lo strumento per realizzare somme da trasferire al bilancio dell’Ente e per la collocazione, clientelare, degli amici nei Consigli di Amministrazione. La competenza? un optional non necessario! Però, questi amici generalmente incompetenti, si sono sentiti manager e finanzieri, si sono impossessati delle aziende e hanno provocato disastri. Le ragioni del fallimento della Legge Galli stanno proprio qui, nella politica, quella autoreferenziale.

Hanno ragione i media che si interrogano sulla necessità della ripubblicizzazione di un servizio che di fatto è gestito, per il 97,6%, da società totalmente pubbliche o a maggioranza pubblica. Quell’ampia maggioranza è, però, proprietà ma non controllo sulle società o sulla gestione del servizio. Nel diritto privato il “domino” delle società sono gli amministratori, i soci hanno una sola possibilità, quella di nominare o revocare gli amministratori che qualche “dividendo” tiene buoni e amici.

La situazione, rispetto alle vecchie “municipalizzate”, è peggiorata. Pur con risorse disponibili notevolmente inferiori e con tutte le criticità del sistema, queste erogavano il servizio. Oggi, il servizio è solo lo strumento per “giocare”, con i soldi di altri, per fare finanza.

Eliminare tutto questo si può, con una ripubblicizzazione reale e non formale.

Analizzando i bilanci di tutte le società di gestione del servizio idrico, comprese le multiutilty di cui, però, non sono recepiti i valori non potendo separare l’idrico dalle altre attività, si rilevano stranezze significative. Non si tratta di elaborazioni o “manipolazione di dati”, si tratta solo di analisi di bilanci ufficiali che, per questo, dovrebbero essere reali e, comunque, sono certificati dagli amministratori e dagli organi di controllo delle società.

Tutti gli investimenti, tutti, non solo quelli strettamente connessi al servizio idrico, ed esclusi quelli finanziari, ammontano a 13 miliardi di euro di cui 8 miliardi sono finanziati dai mezzi propri della società (patrimonio netto) e, 2,6 miliardi, da contributi a fondo perduto e dai costi per l’allacciamento alla rete pagati dagli utenti. Restano da finanziare 2,4 miliardi ma il debito finanziario complessivo ammonta a 4,4 miliardi, 2 miliardi più del necessario. Però sui conti correnti bancari ci sono 1,750 miliardi, inutili ed inutilizzati, ci sono, inoltre, crediti verso utenti superiori alla normalità per oltre 2,5 miliardi. Per chiudere il giro di tutti questi numeri si può affermare che i debiti a medio lungo termine sono serviti per coprire la morosità degli utenti e per tenerne, circa la metà, depositati sui conti correnti, non per gli investimenti. Con una gestione normale, riducendo le tariffe, permettendo, forse, anche la riduzione della morosità, e con una corretta pianificazione dei finanziamenti si potrebbe garantire la integrale copertura dei costi e degli investimenti.

La quota totale di ammortamenti (costo annuale degli investimenti) rilevata per il 2017, è stata di 940 milioni di euro che, se destinata al pagamento delle rate dei finanziamenti consentirebbe un indebitamento di circa 12 miliardi di euro senza ulteriori aumenti tariffari. L’eliminazione dell’utile e di costi impropri, consentirebbero una riduzione delle tariffe del 25/30%.

I dati riportati sono riferiti ad un “teorico” consolidato nazionale dei bilanci.

Hanno scritto che il costo della ripubblicizzazione sarà di 15 miliardi (La Stampa di Torino, addirittura, di 23 miliardi) sulla base di dati elaborati (forse manipolati) da alcune società di ricerca e da Utilitalia, l’associazione dei gestori.

Hanno affermato che i debiti a medio lungo termine, che le banche non rinnoverebbero trasformando le società in Aziende speciali (chissà perché?), ammontano a oltre 10 miliardi. Si tratta, in realtà, dai bilanci di tutte le società di gestione del servizio, di 4.400.202.022 di euro. Ma i dati utilizzati dai media sono inventati? Può darsi.

Hanno quantificato in 2 miliardi il costo della fiscalizzazione dei consumi essenziali (50lt/gg/persona) mentre, con una “tariffa agevolata” media di  0,5 € al mc., il costo è di 551.916.409 euro.

Il valore patrimoniale, criterio normalmente utilizzato per la valutazione delle partecipazioni private nelle società miste e private di gestione dell’idrico, ammonta a 996.234.763 euro e, questo, dovrebbe essere il costo della ripubblicizzazione del servizio e della trasformazione in Azienda Speciale. Restano le multiutility a capitale misto, 13 società con una partecipazione pubblica del 55,82%, dove il valore potrebbe essere stimato, empiricamente, in circa 500 milioni che, con l’operazione di scorporo, potrebbe essere compensato con altri beni, e le multiutility private (8 comuni per 106.000 abitanti).

Perché diffondere cifre irreali ed assurde? REF Ricerche è sponsorizzata dai gestori e la pubblicità, ai giornali, fa comodo. Sono i gestori preoccupati dell’approvazione della proposta di legge, che hanno finito di fare i finanzieri con i soldi degli altri.

Perché l’Azienda Speciale? Nell’Azienda Speciale i consigli di amministrazione non hanno funzioni e, quindi, nemmeno compensi. La gestione è demandata ad un direttore, da assumere mediante concorso, senza clientele, mentre l’indirizzo politico compete ai Comuni che potranno, in questo modo, esercitare, realmente, il controllo necessario.

In una gestione di natura monopolistica, con tariffe garantite, non servono strategie aziendali e societarie, non servono fusioni o scissioni, anzi, sono negative. Serve solo uno staff di lavoratori efficienti e capaci, questi ci sono già, coordinati da un direttore che si occupa solo della gestione. Gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità del servizio saranno garantiti.

L’Azienda Speciale potrebbe anche ridefinire le partecipazioni dei Comuni che, oggi, sono rapportate al capitale e non al numero degli abitanti. Non è possibile che un Comune, ad esempio Torino, detenga in SMAT una quota di partecipazione diretta ed indiretta, del 72,18% ed un numero di abitanti, in rapporto agli abitanti dell’ambito, del 39,12%. Gli incrementi patrimoniali si formano con tariffe che ogni cittadino dell’ambito paga in eguale misura ma sono un beneficio solo per un Comune, e i suoi cittadini/e, in misura non proporzionale. Anche questa è una forma di discriminazione che deve essere eliminata.

Nondimeno si pone la questione dell’Autorità, ARERA, un organismo di privilegiati, che non tutela gli utenti ma i gestori. In un regime di monopolio naturale non serve un organismo indipendente che garantisca la concorrenza ed il mercato, non serve un Autorità, serve il buonsenso ed il rispetto della funzione istituzionale dei Comuni, che è quella di erogare i servizi ai propri cittadini.

Con la ripubblicizzazione reale del servizio idrico si rimette in moto un meccanismo che ridà dignità al ruolo e alle funzioni della politica. Garantire i diritti fondamentali e i servizi essenziali è compito delle Istituzioni pubbliche, non delle società che, anche se pubbliche, hanno sempre natura privatistica.

 Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 39 di Marzo – Aprile 2019. “Si scrive acqua, si legge democrazia

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