Presentiamo in questo numero del Granello gli articoli comparsi in due anni e mezzo nella rubrica “Democrazia Partecipativa”, curata da Pino Cosentino.
Dei 20 articoli 16 sono del curatore della rubrica, 2 di Marina Savoia, uno di Marina Savoia e Pino Cosentino in collaborazione, uno di Daniela Patrucco.
La rubrica è nata perché a metà del 2014 fu deciso di dare il giusto rilievo a un tema molto presente nella retorica politica, quanto ignorato nei suoi effettivi contenuti e generalmente inattuato. La “democratizzazione della democrazia” era il contenuto del movimento studentesco partito nel 1967 e giunto al suo pieno sviluppo nel 1968. Il “movimento” nacque e si sviluppò con la lotta contro gli organismi elettivi di rappresentanza studentesca. Fu affermato il principio che decideva chi effettivamente era presente, di persona, nelle assemblee studentesche, le quali sole erano organismi decisionali attraverso cui si esprimeva il potere studentesco. Era una critica radicale della rappresentanza e della delega, che però fu rapidamente dimenticata, o quanto meno oscurata, dagli sviluppi successivi, che qui non è possibile neppure accennare. Negli anni seguenti, sia in ambito cattolico (penso per esempio a un pioniere come Pier Luigi Zampetti) sia in ambito anarchico/marxista si continuò a rielaborare il tema della “democratizzazione della democrazia”, prendendo atto però, proprio sulla base dell’esperienza del movimento studentesco, che la democrazia assembleare non poteva essere un’alternativa valida alla democrazia rappresentativa.
Si fece così strada l’idea di un sistema misto, che unisse rappresentanza elettiva con strumenti decisionali attraverso cui il popolo potesse continuare a esercitare la propria sovranità tra un’elezione e l’altra. La democrazia partecipativa era quindi l’idea di una condivisione del potere politico tra organismi elettivi e popolo, una forma di governo di tipo completamente nuovo.Molti dubbi sono suscitati dall’inesistenza, ad ora, di esempi di democrazia partecipativa realizzata. Luigi Bobbio (Dilemmi della democrazia partecipativa, in Democrazia e Diritto, 4/2006) ritiene la democrazia partecipativa non una nuova forma di democrazia, ma piuttosto “un insieme eterogeneo, contraddittorio e informe di aspirazioni, linee di tendenza e orientamenti politici che cercano spesso solo a parole, qualche volta anche con concrete esperienze, di aprire una breccia nella cittadella del governo rappresentativo”. L’esperienza di una grande città come Porto Alegre, che in Italia ha trovato applicazione in città piccole, come Grottammare o Pieve Emanuele, ha indubbiamente dato slancio e credibilità almeno al bilancio partecipativo, forse la forma di partecipazione più completa, anche se ancora parziale, incistata com’è nella forma di governo rappresentativo, di cui quindi appare tuttora un correttivo, più che un’alternativa. Il concetto di democrazia partecipativa, questo è il pensiero che ha animato finora la rubrica, apre la via a un nuovo tipo di democrazia. La varietà delle forme che già si stanno producendo, e che aumenterà in futuro, non inficia l’unitarietà di una formula politica che resta una, pur nella pluralità delle vie e delle realizzazioni concrete.
Ma come passare dalla situazione attuale alla nuova forma di governo? Attraverso la partecipazione popolare ai processi decisionali, possibile già entro l’architettura istituzionale esistente, ma destinata a crescere fino a scardinarla, quando dal bozzolo uscirà compiuto e vitale il nuovo sistema regolatore della vita individuale e collettiva di popoli finalmente liberi. La partecipazione è dunque la via che conduce il popolo, e tutto il sistema istituzionale, alla nuova forma di governo. Il popolo deve educare sé stesso per essere capace di partecipare alle decisioni relative al governo, mentre i detentori attuali del monopolio del potere dovrebbero incoraggiare e sostenere questa progressiva assunzione di responsabilità e di acquisizione di competenze da parte del popolo.
E’ invece sotto gli occhi di tutti che la classe politica non incoraggia affatto la partecipazione popolare ai processi decisionali, nonostante un profluvio di proclami, dichiarazioni, leggi che promuovono la partecipazione.
Il popolo, se vuole conseguire questo risultato, può contare solo su sé stesso. Da diversi anni si sono sviluppati in Italia tantissimi movimenti spontanei, indipendenti da partiti e altre organizzazioni similari, per difendere i territori dalle molteplici forme di sfruttamento a cui i poteri economici e le rappresentanze politiche, strettamente integrati a formare una cosa sola, vorrebbero sottoporli.Questi movimenti, e anche altri più propositivi (movimenti contadini, di autogestione di unità produttive, organismi economici alternativi…) sono embrioni di partecipazione popolare ai processi decisionali. Debbono crescere, svilupparsi, superare i loro attuali limiti. Le pesanti disuguaglianze sociali possono persistere grazie al monopolio del potere politico (ossia l’uso legittimo della forza) da parte dello strato privilegiato della società, formato da coloro che si spartiscono i frutti del lavoro altrui usufruendo di uno stile di vita irraggiungibile per i comuni mortali. La democratizzazione della democrazia porrà fine a questo. Noi infatti non crediamo alla neutralità del sistema politico rispetto ai problemi sociali, come si renderà conto chi voglia leggere gli articoli qui riproposti. La democrazia rappresentativa, senza partecipazione, o con partecipazione confinata entro il recinto degli attivisti, si cristallizza rapidamente in oligarchia, il dominio dei grandi patrimoni privati e delle grandi organizzazioni burocratiche (industriali, finanziarie, degli apparati delle Stato e dei partiti). La democrazia partecipativa è un valore in sé, e proprio per questo (non nonostante questo) fornisce l’accesso a un livello superiore della storia umana, superando l’homo economicus e i conflitti caratteristici di questa fase.
La rubrica “democrazia partecipativa” si è proposta di accompagnare questi processi. Presentiamo al giudizio dei lettori i 20 articoli usciti finora, nella speranza di contribuire a dissipare le nebbie che avvolgono questa decisiva materia, spesso nominata senza la più lontana idea del significato delle parole né conoscenza dei fatti reali a cui fanno riferimento.
Abbiamo voluto inserire anche un articolo del compianto Stefano Rodotà quale omaggio a un sincero, valoroso combattente per i diritti dei popoli, un amico fraterno che con la sua opera continua a indicare la via non solo a noi, ma a tutte le persone di buona volontà. Addio Stefano, non ti dimenticheremo.
La Redazione
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 30 di Settembre-Ottobre 2017: “Democrazia Partecipativa”