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di Massimo Pallottino
Il debito e l’instabilità finanziaria sono tra i fenomeni che condizionano in maniera importante la vita delle donne e degli uomini che abitano il nostro pianeta, e in particolare quelli delle comunità più povere e vulnerabili. Se però la crisi del debito degli anni ’80 e ’90 si era abbattuta principalmente sui paesi del sud globale, la storia degli ultimi dieci anni ha reso evidente come non esistano zone franche. Nonostante le campagne internazionali per la cancellazione del debito e le misure adottate a partire dal 2000 (l’iniziativa HIPC, per i paesi poveri e fortemente indebitati), la situazione è oggi tutt’altro che risolta.
La situazione del debito che sperimentiamo negli ultimi quindi anni ha però caratteristiche diverse, e per certi aspetti ancora più preoccupanti. La conferenza sulla gestione del debito dell’UNCTAD, tenutasi a Ginevra nello scorso mese di ottobre, ha contribuito a comprendere meglio la situazione.
Dopo una prima fase in cui il debito era andato calando, a partire dal 2008 (più o meno in coincidenza con lo scoppio della crisi finanziaria internazionale), esso ha ricominciato a salire, sia in termini di proporzione con il PIL che nella proporzione servizio del debito/esportazioni. Oltre al livello del debito, a preoccupare è però la sua composizione: mentre ai tempi della crisi del debito degli anni ’90 il debito internazionale era largamente debito pubblico (sovrano) nei riguardi di altre istituzioni pubbliche, adesso non è più così. Il debito pubblico nei riguardi di creditori privati era il 41% del totale nel 2000, ed è salito al 62% nel 2016. Il debito verso privati, al contrario di quello nei riguardi di istituzioni pubbliche è difficilmente ‘contrattabile’: i creditori privati avranno ogni interesse a trarre il massimo vantaggio dai titoli di credito in proprio possesso come avviene nel caso dei ‘fondi avvoltoio’ che quando riescono ad entrare in possesso di quote di debito ‘in sofferenza’ dei paesi poveri, cercano di tenere questi paesi sulla graticola di interminabili azioni giudiziarie. Anche il debito dei privati è in aumento, e lo è anche per i paesi più poveri: in Africa Sub Sahariana, il debito privato è aumentato circa sette volte dal 2000, raggiungendo i 70 miliardi del 2015. Secondo l’UNCTAD, questo è avvenuto anche a causa di un ‘pregiudizio positivo’ nei riguardi del debito privato, da parte degli organi internazionali di supervisione finanziaria, che ponevano invece stretti vincoli all’indebitamente pubblico. Ma esistono analisi che mostrano come la crescita del debito privato sia legato a cicli economici negativi e, come molto spesso l’indebitamento privato, soprattutto in tempi di crisi è soggetto a garanzia implicita o esplicita, che conduce alla sua assunzione da parte del settore pubblico.
Il tema del debito deve essere assolutamente ripensato prendendo in considerazione questi elementi. Secondo il FMI ci sono sempre più paesi a rischio crisi per sovra indebitamento, anche tra quelli che avevano goduto dei benefici dell’iniziativa HIPC, e molti osservatori si chiedono perché non sia ancora scoppiata una nuova crisi del debito nei paesi del sud globale.
Si tratta però anche di leggere la questione del debito in connessione con i problemi più gravi che attraversano il pianeta. La diseguaglianza è un tema fondamentale e pervasivamente trasversale nella nostra epoca: i suoi segni sono presenti ormai ovunque. La diseguaglianza è alla radice del malessere contemporaneo, l’insoddisfazione di chi è più vulnerabile, genera rabbia sociale, producendo il sentimento di chi si vede escluso e respinto e non trova ascolto. Tutto questo trova paradossale sfogo in un nuovo identitarismo o nella ricerca di un leader forte (per assurdo spesso espresso da quelle stesse élite ricche che in realtà non hanno alcun interesse a cambiare i meccanismi di ingiustizia globale).
Quali sono i meccanismi alla base di questi squilibri? Esiste una relazione tra il debito e la diseguaglianza? Secondo Juan Pablo Bohoslavsky, esperto indipendente su Debito e Diritti Umani delle Nazioni Unite, la diseguaglianza può favorire la crescita del debito: gli strati sociali più poveri cercano di mantenere i propri livelli di consumo, indebitandosi, anche a causa di un fenomeno di emulazione rispetto agli strati sociali più ricchi; ma anche attraverso surplus di liquidità a disposizione dei ceti più ricchi che viene in parte consumato in beni di lusso, e in parte re iniettato nel sistema fornendo una illusoria abbondanza di liquidità, bassi tassi di interesse e disponibilità per impieghi ‘rischiosi’. A sua volta, il sovra indebitamento pubblico e privato può contribuire all’aumento delle diseguaglianze, come è avvenuto con la stagione della green revolution: molti contadini hanno adottato le nuove tecniche, acquistando a credito quanto necessario, con il rischio di perdere tutto alla prima crisi. Il risultato è stato un impressionante aumento della concentrazione della proprietà della terra in paesi come l’India e alla diffusione del fenomeno dei ‘contadini suicidi’ tra coloro che avevano perso ogni cosa, a causa di debiti non pagati. Quando poi la crisi di sovra indebitamento esplode, è altissimo il rischio che si produca un esito di società ancora più diseguali, come nel corso della crisi finanziaria in Europa: crisi spesso spiegata come ‘eccesso di spesa nel welfare’, secondo una interpretazione difficilmente sostenibile con i fatti; e che ha condotto al salvataggio del sistema finanziario privato attraverso risorse pubbliche. Ecco un ottimo esempio di come la gestione del debito ha contribuito a esacerbare le diseguaglianze, sostanzialmente riversando sui sistemi pubblici di welfare i costi della crisi (a discapito certamente dei più poveri).
Il debito non è una questione di tecnica, ma una questione di giustizia: è necessario ‘riumanizzare’ questo tema, fatto di questioni tecniche che vengono spesso presentate come neutrali per definizione ma che in realtà non lo sono affatto.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?“