
di Marco Bersani
Il fatto che l’incontro per definire un accordo sui dazi fra Stati Uniti e Unione Europea si sia tenuto nel lussuoso Golf Club di Turnberry, in Scozia, di proprietà del tycoon Trump, la dice lunga sulla gerarchia dei rapporti fra Usa e Ue.
Gerarchia assolutamente confermata dall’esito del colloquio, ovvero dall’accordo che Ursula von der Leyen ha incredibilmente definito “importante, una scelta deliberata e consapevole, la scelta della stabilità e della prevedibilità per le imprese e i consumatori”.
Ma cosa prevede il cosiddetto accordo? Prima di affrontarlo nel dettaglio, occorre fare una premessa teorica: le intese sui dazi non vanno mai giudicate in termini nazionalistico-patriottici (da una parte ci siamo noi dell’Unione europea, dall’altra ci sono loro degli Stati Uniti d’America), ma vanno giudicate in termini di stratificazione sociale, o se si preferisce di lotta di classe, perché si tratta sempre di intese fra grandi settori del capitalismo industriale e finanziario i cui impatti verranno scaricati sulle rispettive popolazioni.
Proviamo tuttavia per un momento ad analizzare l’accordo secondo il primo criterio, ovvero come se fosse vera la favola che Ursula von der Leyen si muova come paladina degli europei contro Donald Trump, agguerrito difensore degli statunitensi.
Vedendola da questo punto di vista, la cosiddetta intesa lascia basiti.
Si può chiamare intesa quella che prevede dazi del 15% (che con la svalutazione del dollaro salgono in realtà al 28%) sui beni esportati dall’Ue negli Usa nei settori farmaceutico, automobilistico, semiconduttori e legname e, contemporaneamente l’impegno preliminare dell’Ue ad eliminare i dazi (oggi tra il 4% e il 10%) su tutti i beni importati nell’Ue dagli Usa?
Si può chiamare intesa quella che prevede l’impegno dell’Ue ad acquistare dagli Usa entro il 2028 gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti legati all’energia nucleare per 750 miliardi di dollari, senza contropartita?
Si può chiamare intesa quella che prevede l’impegno dell’Ue ad aumentare in modo significativo l’acquisto di equipaggiamenti militari statunitensi, senza contropartita?
Si può chiamare intesa quella che prevede l’impegno dell’Ue ad acquistare dagli Usa 40 miliardi di dollari in chip e tecnologie IA statunitensi, senza contropartita?
Si può chiamare intesa quella che prevede l’impegno dell’Ue a far investire alle aziende europee 600 miliardi di dollari entro il 2028 in progetti strategici negli Stati Uniti, senza contropartita?
Senza contare come siano parte integrante della cosiddetta intesa le deroghe ad una serie di standard ambientali per i prodotti importati dagli Usa -dalle norme sulla deforestazione alla tassa sul carbonio (Cbam), dalla direttiva sugli impatti sui diritti umani e sull’ambiente (Csddd) a quella sulla sostenibilità (Csrd)- rispetto ai quali l’Ue si impegna ad “un’applicazione flessibile per garantire che non comportino restrizioni eccessive sul commercio transatlantico”.
Dal punto di vista nazionalistico-patriottico, più che un’intesa si tratta di una resa.
Tuttavia, rifacendoci alla premessa teorica sopra indicata, e utilizzando il vero criterio di giudizio, tutto questo significa che l’accordo fra grandi potentati finanziari-industriali e relativi governi di Usa e Ue, verrà quasi interamente scaricato sulle fasce popolari europee.
Fino a quando accetteremo tutto questo?