Verso una legge di bilancio armata

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di Marco Bersani, Attac Italia

*articolo pubblicato su il manifesto del 11 ottobre 2025 per la Rubrica Nuova finanza pubblica

Foto: pagina facebook del Movimento No Base – né a Coltano né altrove

Quando un governo si appresta a predisporre una legge di bilancio, dovrebbe innanzitutto avere un quadro della condizione economica, ecologica e sociale del paese e prepararsi a investire per migliorarla significativamente. Non funziona così per il nostro governo.

Nell’allegato al Dpfp (Documento programmatico di finanza pubblica) appena prodotto, si dice chiaramente come il tasso di povertà assoluta -oggi pari all’8,4% della popolazione- tale rimarrà fino a tutto il 2028 e nessun cambiamento è altrettanto previsto sull’indice della disuguaglianza sociale.

Non importa se l’ultimo rapporto della Caritas sveli che la sostituzione del reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione abbia ridotto la platea dei beneficiari del 40%; non smuove gli animi l’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe, che dice come il definanziamento perenne del Servizio Sanitario Nazionale abbia già provocato la rinuncia alle cure per il 10% della popolazione e l’esplosione della spesa a carico delle famiglie (oltre 40 miliardi negli ultimi tre anni); non scalda i cuori neppure l’ultimo rapporto dell’Ispra, che certifica un aumento del 15% del rischio idrogeologico nel nostro paese, che ha ormai raggiunto il 23% del territorio nazionale. E nulla produce il dato del 9,8% di dispersione scolastica, uno dei più alti a livello europeo.

Sono dati che impattano direttamente sulla vita delle persone, ma sui quali nulla si muove per due ordini di motivi.

Il primo è la persistenza dei vincoli finanziari -patto di stabilità, deficit- che da oltre tre decenni hanno trasformato l’Europa da continente dello stato sociale a prateria per l’appropriazione privatistica da parte dei grandi fondi finanziari. La fanatica osservanza di questi vincoli ha semplicemente trasformato la finanza pubblica in una tecnica ragionieristica del far quadrare i conti qui e ora, senza nessuna visione prospettica né strategia d’investimento.

La seconda ragione è che se i soldi ci sono vanno investiti tutti nella nuova dimensione della guerra, nei bilanci della difesa, nella produzione di armi. Come si evince -nonostante la scarsa trasparenza- dal nuovo Documento Programmatico Pluriennale (DPP) 2025-2027, analizzato dall’Osservatorio sulle Spese Militari Italiane, Milex, già oggi il valore complessivo dei programmi di investimento per i prossimi quindici anni ammonta a oltre 130 miliardi di euro per nuovi sistemi d’arma, a cui si aggiungono altri 9 miliardi per le infrastrutture militari. A queste già roboanti cifre, vanno aggiunti i 23 miliardi previsti per il prossimo triennio dal Dpfp del governo (+3,5 mld nel 2026, + 7 mld nel 2027, + 12 mld nel 2028).

D’altronde, come insegna il Libro Bianco della Difesa dell’Unione Europea, il nostro continente è sottoposto a minaccia militare perenne (oggi la Russia, domani la Cina e in prospettiva il mondo intero) e l’obiettivo è allineare la percezione della minaccia da parte delle persone (ancora scarsa, ahiloro) all’adeguato livello che ne hanno i governanti. Obiettivo che sembra ben lontano dall’essere raggiunto, stanti le mobilitazioni oceaniche che hanno attraversato il paese contro il genocidio in Palestina, con una nuova generazione scesa in campo, rivendicando un futuro differente non solo per Gaza.

“Svuotare gli arsenali, riempire i granai” diceva un indimenticato Presidente della Repubblica ai tempi nei quali parlare di democrazia aveva ancora un senso. Svuotare gli arsenali e riappropriarci della ricchezza collettiva per destinarla a reddito, scuola, sanità, diritti e conversione ecologica, dovremmo gridare tutte e tutti insieme di fronte a una legge di bilancio che ci vuole ancor più privati di dignità ma che ci sogna tutti in fila per tre.

 

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