di Marco Bersani (articolo pubblicato su il manifesto del 30 novembre 2024 per la rubrica Nuova Finanza Pubblica)
Il pianeta è attraversato dalle guerre e l’economia globale dalle bolle finanziarie. Come se la crisi del 2007 non fosse mai avvenuta, e comunque non avesse insegnato nulla, i mercati finanziari viaggiano a vele spiegate sorretti da bolle sempre più grandi e pericolose.
Secondo gli esperti finanziari, il 2024 è stato un anno record dell’emissione di debito, sia pubblico che privato. Solo per dare qualche dato, le obbligazioni societarie hanno superato 1417 trilioni di dollari (secondo livello più alto di sempre) mentre Stati e amministrazioni pubbliche hanno superato ogni record arrivando a emissioni per 460 miliardi dollari.
Sembra di essere tornati all’euforia dei mercati che precedette la crisi del 2007, ma rispetto ad allora il quadro è più complesso perché le bolle finanziarie sono molteplici e contemporanee: dal debito governativo al credito privato, dalle criptovalute alle speculazioni sui mercati azionari, agli enormi investimenti sull’Intelligenza Artificiale.
Se a questo pericoloso cocktail aggiungiamo il contesto di enorme instabilità dovuto alle guerre e alle relative spese militari, il quadro è chiaro: l’orchestra del capitalismo sta suonando sul ponte di un nuovo Titanic.
Ad oggi sono cinquantanove le guerre in corso, un numero mai raggiunto dalla fine della seconda guerra mondiale, e il preponderante aumento delle spese militari che si sta realizzando ad ogni latitudine rischia di far deflagrare la situazione economico-finanziaria globale.
Le guerre, oltre ad impegnare enormi risorse per la successiva ricostruzione, spingono tutti i Paesi a investire sulla difesa, la sicurezza e gli armamenti in un’epoca dove le risorse andrebbero invece indirizzate interamente alla conversione ecologica dell’economia e della società, oltre che a garantire a tutte e tutti sanità, istruzione e diritto a una vita dignitosa.
Una tendenza globale, come testimoniano il Giappone che intende raddoppiare le risorse per la difesa nei prossimi cinque anni, o Taiwan e la Corea del Sud che si prefiggono aumenti annuali dell’ordine del 7%.
Questa dicotomia si renderà ancor più evidente in Europa, i cui paesi membri della Nato hanno già aumentato le spese militari di oltre un terzo negli ultimi due anni e dovranno far fronte al riequilibrio di risorse richiesto dal nuovo Presidente Usa, che non intende più coprire la quota parte attuale (68%).
La spinta affinché ogni Paese arrivi a destinare almeno il 2% del Pil alle spese militari è più che mai in campo, e già quest’anno 23 membri della Nato dovrebbero raggiungerlo, con la Polonia che ha addirittura superato il 4%. Tutti in fila ad eseguire il diktat della Presidente della nuova Commissione europea, Ursula von der Leyen, che, all’atto dell’insediamento, ha così sentenziato: “È ora che i popoli europei si rendano conto che la libertà non potrà più essere gratuita”. Sembra di essere entrati in una nuova dimensione, nella quale i cosiddetti dividendi di pace, dovuti alla fine della Guerra Fredda, si sono esauriti e le risorse sono di nuovo interamente destinate alla guerra.
Una dimensione di forte instabilità che, mentre peggiora drasticamente la vita delle persone, rischia di aumentare le tensioni nei mercati finanziari globali, fino a una possibile nuova implosione.
È d’altronde quanto previsto nel rapporto Draghi, il quale, oltre al riferimento alla difesa europea, indica nel mercato finanziario europeo il secondo pilastro del futuro del continente.
Mercato che per poter competere con i grandi fondi finanziari statunitensi deve ulteriormente espandersi, annettendosi ulteriori fette dei servizi pubblici attraverso le politiche di privatizzazione.
Ci aspetta un futuro fatto di armi e di finanza. O di rivolta sociale.