La terza guerra mondiale

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di Antonio De Lellis (Attac Italia)

Fiumi di denaro pubblico sono ormai indirizzati alla produzione di armi, in aperto sostegno alla guerra e alla militarizzazione, ma i processi speculativi sono del tutto evidenti se pensiamo che il quotidiano Qui Finanza afferma che “Il risultato è stato il raddoppio dell’indice europeo delle aziende quotate nel settore difesa, con le azioni del comparto militare che hanno avuto delle valutazione pari fino a 20 volte gli utili attesi”.

Perchè tutto questo?

È in gioco il conflitto per il nuovo ordine mondiale.

Da una parte l’Occidente indebitato e dall’altro i grandi Paesi, oramai non più solo emergenti, che si sono imposti, sia dal punto di vista demografico, sia da un punto di vista economico,. L’integrazione economica propugnata dall’Occidente ha creato eccessi di liquidità in Paesi quali Cina, Russia, Arabia Saudita. Questi ultimi hanno acquistato dapprima titoli di Stato dei Paesi debitori dell’Occidente, ma quando hanno iniziato ad acquistare titoli delle principali aziende che ridisegnano la traiettoria futura dell’economia, la risposta occidentale è stata una raffica di sanzioni internazionali che delineano una politica restrittiva protezionista. L’integrazione economica e la globalizzazione l’hanno vinta gli altri Paesi, i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti), con a capo la Cina. (vedere tabella sottostante)

Proprio perché gli Stati Uniti hanno perso la partita economica, non resta loro che continuare a svolgere il ruolo del gendarme o dello sceriffo mondiale, nel tentativo di riaffermare la loro supremazia economica e finanziaria.

In questo contesto di politiche protezionistiche e di accordi economici ispirati al Friend-shoring (produrre e approvvigionarsi da Paesi che sono alleati geopolitici), l’Europa e l’Italia vanno al traino senza comprendere che l’essersi divisi dalla Russia a causa delle mire espansionistiche della Nato, e della evitabile e prevenibile reazione violenta e imperialista della Russia, li ha indeboliti politicamente ed economicamente, e affidati nelle braccia mortali delle politiche economiche a supremazia statunitense.

Quand’anche all’Italia venisse in mente di rendersi indipendente bisogna ricordarsi che i principali Enti finanziari e Società di rating, che valutano l’enorme debito italiano, sono proprio statunitensi e che sul territorio italiano vi sono basi militari anche nucleari o direttamente della Nato o comunque espressione dell’alleanza atlantica.

La cartina di tornasole di questo approccio sta nel fatto che, se fosse vera la tesi, secondo la quale in Ucraina “Stiamo difendendo un Paese occupato e aggredito”, allora a maggior ragione dovremmo inviare armi a Gaza. E invece le armi l’Occidente le sta inviando a Israele, Paese, sì colpito, ma aggressore e occupante. Quindi nel conflitto Russo-Ucraino le armi le inviamo all’Ucraina, in quanto Paese aggredito e occupato parzialmente, mentre nel conflitto israelo-palestinese le inviamo al Paese aggressore e occupante. Quest’ultimo conflitto smonta tutta la retorica della sicurezza e ci conferma che quella che si sta combattendo sia in Ucraina sia in Palestina è la guerra dell’Occidente contro gli altri e non una guerra per difendere i nostri valori, ma il “nostro” valore, ossia quello economico finanziario.

Ma nel frattempo tutti si armano innescando una vera economia di guerra.

Dal febbraio 2022, le azioni in borsa dei 70 produttori di armi più importanti al mondo, tra i quali l’italiana Leonardo, hanno ripreso a crescere vertiginosamente, guadagnando fino al 325 per cento. Gli investimenti militari, assicurati dalle Istituzioni finanziarie globali, ammontano a quasi 1.000 miliardi di dollari (959), in meno di due anni.

Le banche e la finanza vogliono indirizzare sempre maggiori risorse nella ricerca di tecnologie dual use, che producono per il civile e il militare.

E l’Europa che ruolo gioca? Il rafforzamento della difesa europea avviene da tempo anche attraverso acquisti e appalti congiunti che vedono protagoniste le principali aziende produttrici nel settore. Nel settembre 2023 è stata approvata dal Parlamento europeo un’apposita legge che prevede il finanziamento delle spese militari, per il 20 per cento, con soldi comunitari. Solo nel 2023 le 15 maggiori banche europee hanno realizzato ingenti finanziamenti e investimenti a favore delle aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro come riporta il Rapporto della Global Alliance for Banking on Values.

Ma veniamo in Italia. Leonardo nell’ultimo anno ha avuto un balzo in Borsa del 97 per cento, la sua capitalizzazione ha toccato 12,9 miliardi di euro, ma la guerra all’interno dell’economia di guerra è del tutto evidente. Si pensi che le azioni di Leonardo hanno subito perdite in Borsa (meno 8,9%) dopo una relazione di Goldman Sachs, Banca d’affari che risponde probabilmente al desiderio degli Usa di non avere dei concorrenti nel commercio di armi.

In Italia il peso economico del comparto bellico italiano oscilla fra i 30mila e 40mila occupati con un fatturato fra 9,5 mld e 12,0 mld di euro.

È una quota minima del Pil nazionale ma sempre più legato alle strategie di partenariato con gli Usa, considerando ad esempio che la fornitura di armi a Israele sta avvenendo tramite una controllata di Leonardo negli Stati Uniti.

Il problema è la concentrazione in distretti militari industriali. Ad esempio, quello torinese va analizzato in collegamento con la crisi di Stellantis. La mancanza di alternative reali della mobilità elettrica produce un vuoto che l’abile seduzione di Leonardo va, in parte, a occupare con l’immaginario della produzione aerospaziale propagandata al posto di quella effettiva e predominante delle armi.

Un altro sito importante per il territorio in cui insiste è il Sulcis Iglesiente. È un sito controllato dalla multinazionale tedesca Rheinmetall, anche se le aree destinate ai poligoni sono funzionali alle attività di test delle armi pesanti con noti effetti nefasti nell’ambiente. La direzione di Rwm Italia, società del gruppo Rheinmetall, ha proposto sinergie con Leonardo a partire dalle commesse miliardarie decise da Berlino e gli stessi sindacati provinciali hanno evidenziato la possibilità di sviluppo del territorio a partire dalla configurazione di un distretto capace di attrarre investimenti e generare economie di scala.

Non si può ignorare tra l’altro l’ormai esplicitata intenzione di Germania e Francia, nonostante i trattati vigenti, di sviluppare la deterrenza nucleare autonoma a livello continentale paventando la crescita di questa filiera in siti sicuri e idonei anche allo stoccaggio delle scorie.

Un dato di fatto che si collega con il ritorno in massa delle lobby pro nucleare civile, indicato come investimento ambientalmente sostenibile.

Cosa possiamo fare?

Innanzitutto dotarci di un vademecum di base, utile a smontare il falso mito dei vantaggi della produzione bellica; programmare un primo incontro tematico per evidenziare, con riferimento al caso Sulcis Iglesiente, gli assi su cui investire a partire dalla dotazione del just transition fund e gli attori pubblici e privati possibili della transizione ecologica integrale; utilizzare l’Atlante delle aziende in Italia operanti nel settore aerospazio-difesa, per identificare tutti i distretti industriali territoriali nei quali l’incidenza del comparto bellico riveste una relativa importanza sul piano economico e occupazionale.

La propaganda invece ci propina la necessità di analogie storiche secondo le quali la difesa ucraina è accostabile a quella della resistenza italiana. Ricordiamo che per molti militanti la lotta al fascismo in Italia fu la lotta ai padroni. Fu un riprendere le armi contro il fascismo e contro il capitalismo, come dice il professor Paolo Mattara.

Le differenze tra la lotta partigiana e la difesa ucraina dall’occupazione russa sono:

1) la sproporzione enorme nella quantità di dotazioni delle armi;

2) le stesse armi partigiane venivano fatte circolare in Italia da una brigata all’altra man mano che si risaliva lo Stivale;

3) liberando l’Ucraina dai russi si resterebbe ancora nel sistema neoliberista predatorio, mentre per l’Italia la lotta partigiana era una lotta artigianale, anche nonviolenta, per cambiare il sistema nella direzione della giustizia sociale;

4) l’esercito ucraino è formato da coscritti, i partigiani italiani erano volontari.

Se parliamo di analogie storiche dobbiamo far riferimento al periodo che precedette la Prima guerra mondiale e alla crisi dei missili a Cuba, nel 1962.

Ricordo anche che dal punto di vista giuridico possiamo affermare che la Costituzione promuove una “economia di pace”, che si basa sul valore della fratellanza e sorellanza universale, della solidarietà, della cooperazione e del legame con l’ambiente, al cui fondamento c’è, da una parte, che l’Italia ripudia la guerra, dall’altra, limita l’uso della stessa alla difesa della Patria e indirizza l’attività economica a una funzione sociale ed ambientale.

Nessuna commercializzazione delle armi è possibile se non per la difesa della Patria in quanto al di fuori di questo recinto essa è attività economica “improduttiva”, nel senso della Costituzione, e distruttiva. E questa difesa, come ci indica don Lorenzo Milani nella lettera ai giudici, è anche nonviolenta.

Spese Militari 2000 Spese Militari 2021 Variazione Percentuale 2000-2021 Posizione netta sull’estero (escluse le riserve auree) 2021
United States of America 484987 767780 58 -18.596.428
China + Hong Kong 50038 270017 440 3.990.675
India 31802 73575 131 -994.960
Russia 23570 63485 169 356.529
United Kingdom 51393 62489 22 -1.012.800
Japan 48017 55774 16 3.540.717
Saudi Arabia 33961 53759 58 1.244.844
France 45902 53560 17 -1.051.016
Germany 42677 52488 23 2.566.536
Korea, South 21550 47676 121 653.616
Italy 33110 30265 -9 5.820
Australia 14581 28398 95 -595.389
Canada 13549 24001 77 1.169.545
Israel 13677 22501 65 154.852
Brazil 15342 18747 22 -486.462
Spain 18311 18408 1 -976.784
Iran 10887 17575 61 235.813
Turkey 10424 16709 60 -290.968
Netherlands 10862 13015 20 865.704

Tabella 1. Spese militari e Posizione netta sull’estero (milioni di dollari valori costanti, dati IMF e dati SIPRI)

La tabella 1 ci dà una fotografia relativa all’ultimo anno per cui sono disponibili i dati relativi alla posizione netta sull’estero, il 2021. La posizione netta sull’estero è la differenza tra le attività e le passività finanziarie esterne di un Paese e può aiutarci a cogliere alcune relazioni di dipendenza fra diversi sistemi economici nazionali. Uno Stato con una posizione netta sull’estero in passivo infatti è caratterizzato da finanziamenti provenienti dall’estero superiori rispetto ai finanziamenti che quello stesso Stato ha indirizzato al di fuori dei propri confini. Concentriamoci prima sui Paesi che presentano le maggiori posizioni nette sull’estero in passivo. Si tratta dell’insieme dei grandi debitori: troviamo al primo posto gli Stati Uniti (-18.596 miliardi di dollari), poi la Francia (-1.051 miliardi di dollari), la Gran Bretagna (-1.012 miliardi di dollari), l’India (-994 miliardi di dollari) e l’Australia (-595 miliardi di dollari). Notiamo che si tratta sostanzialmente di Paesi che appartengono al così detto blocco occidentale – se si fa rientrare l’India nella sfera di influenza britannica. Concentriamoci ora sui Paesi che presentano le maggiori posizioni nette sull’estero in attivo, cioè l’insieme dei grandi creditori: troviamo la Cina con Hong Kong (3.990 miliardi di dollari), poi il Giappone (3.540 miliardi di dollari), poi la Germania (2.566 miliardi di dollari), l’Arabia Saudita (1.244 miliardi di dollari), l’Olanda (865 miliardi di dollari), la Corea del Sud (653 miliardi di dollari). Subito dopo la Russia (356 miliardi di dollari) e l’Iran (253 miliardi di dollari). Notiamo che quattro dei Paesi appartenenti a questo insieme – Cina, Russia, Arabia Saudita e Iran – intrattengono con l’Occidente un rapporto ambiguo, che, nel caso cinese, vede l’alternarsi di promesse di cooperazione e di pubbliche recriminazioni (Kissinger 2015). Tutti questi Paesi – sia i grandi debitori sia i grandi creditori – sono ai vertici della speciale classifica composta dagli Stati che presentano una ingente spesa militare, e sono caratterizzati da un andamento crescente della spesa militare tra il 2000 e il 2021. La variazione percentuale riferita alla spesa militare è davvero impressionante se si guarda al club dei creditori: in particolare Cina, Russia e Corea del Sud presentano rispettivamente un incremento del 440%, del 169% e del 121%. È possibile sostenere che le spese militari aumentino man mano che la distanza fra grandi creditori e grandi debitori aumenta, cioè man mano che le posizioni nette con l’estero aumentano in valore assoluto? Sembrerebbe proprio di sì.

Foto di Marek Studzinski su Unsplash

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 53 di Maggio – Giugno 2024: “Chi fa la guerra non va lasciato in pace

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